ROBERTO AGOSTINI. INSEGNARE TECNOLOGIE PER INVENTARE NUOVA MUSICA

di Piero Chianura

Docente di Musica nella scuola secondaria di primo grado presso l’IC7 di Bologna, Roberto Agostini fa parte dello staff di esperti in tema di innovazione didattica e uso del digitale in classe presso il Servizio Marconi TSI (USR Emilia-Romagna). In questa veste si occupa di accompagnare le scuole in progetti che implicano la produzione di contenuti audio originali in ottica podcast, ma anche webradio, storytelling, coding e in tutte le declinazioni della produzione audio creativa.

MusicEdu L’esplosione di interesse da parte della scuola nei confronti del mondo della produzione audio, soprattutto podcast, è legata all’uso della musica e dei suoni in chiave interdisciplinare. Ma come sei arrivato a occupartene?

Roberto Agostini Dal 2015 a oggi mi sono trovato a utilizzare parte del mio tempo presso il servizio Marconi TSI proprio per supportare gli insegnanti e le scuole nell’utilizzo del digitale nella didattica in generale. In sostanza si tratta di accompagnare l’applicazione pedagogica delle tecnologie digitali, un servizio che in Emilia Romagna è attivo già da più di dieci anni. Non sono un informatico, perché vengo dal mondo della ricerca musicologica, in particolare sulla popular music, ma ho voluto fare questo lavoro per il mio interesse a sperimentare con le tecnologie digitali, in particolare nell’educazione musicale dove la cosa importante è collegare le conoscenze e le competenze musicali e tecnologiche con la capacità si insegnare e “farsi ascoltare” dai ragazzi.

MusicEduQual è il tuo punto di vista su come gli insegnanti hanno risposto alle richieste di aggiornamento in ottica digitale da parte delle istituzioni? 
Roberto Agostini Da questo punto di vista, l’Emilia Romagna è una regione abbastanza fortunata, visto che lo stesso servizio Marconi è attivo da ben prima dell’avvio dell’attuale accelerazione digitale. È vero che c’è uno zoccolo duro di insegnanti che continua a vedere la tecnologia come qualcosa di opposto a qualcos’altro… la scrittura con la matita opposta a quella con il computer e così via… Eppure le due modalità non si escludono. Oggi si è portati facilmente a ragionare gli uni contro gli altri, mentre la situazione è più complessa. E questo riguarda anche la musica. Purtroppo , devo ammettere che non sono molti i docenti di musica che partecipano alle nostre attività, probabilmente perché vedono la tecnologia come una porta di uscita da quelle quattro mura in cui è rinchiusa l’educazione musicale, dove si dà la priorità allo sviluppo dell’alfabetizzazione e delle abilità esecutive. Mentre invece, secondo me, la tecnologia potrebbe essere molto utile per aiutarli e soprattutto per aprire nuovi orizzonti. Infatti, quando gli educatori di musica cominciano a interessarsi alle tecnologie, si entusiasmano e diventano attori straordinari. Tra le persone con cui collaboro, colleghi come Leo Izzo, Michele Chiappini o Luigi Parisi, sono oggi punti di riferimento per i progetti digitali, e alcuni sono diventati Animatori Digitali nelle proprie scuole diventando leader in questo tipo di attività.

MusicEdu Dal punto di vista generale, qual è il tuo approccio all’insegnamento della musica?
Roberto Agostini Ci sono diversi modi di intendere l’educazione musicale. Ce n’è uno che ritengo piuttosto riduttivo che fa riferimento ai repertori di certi ambiti musicali prevalenti e che intende l’educazione musicale come l’ascolto di questi repertori di cui poi si “eseguono” le partiture scritte. Io lo considero un recinto in cui è stata chiusa l’educazione musicale e che riguarda soprattutto le tecniche esecutive e le grammatiche della musica.

MusicEdu L’obiettivo di questo tipo di educazione musicale è quello di formare futuri orchestrali, musicisti preparati a eseguire repertori tradizionali.
Roberto Agostini Sì, ma buona parte dell’educazione musicale è ancora concepita in questo modo, mentre non è la sola prospettiva possibile. La mia prospettiva è invece quella di occuparmi di come viene usato il suono nella nostra società, non solo a livello di repertori e generi musicali a 360 gradi, ma anche negli ambiti in cui il suono è altrettanto importante, penso ai paesaggi sonori per esempio, in cui non necessariamente è presente lo specifico musicale. Poi c’è il mondo della comunicazione mediatica a cui ti riferivi all’inizio, in cui il suono è importantissimo. Dall’audiovisivo alla radio e al podcast, tutti linguaggi oggi consolidati che non possiamo certo definire “nuovi media”, in cui però il suono è importantissimo non solo in quanto musica, ma anche come traccia audio, che possiamo gestire attraverso software di montaggio e via dicendo.

MusicEduIn questo tipo di approccio all’insegnamento della musica la creatività assume un ruolo primario e apre ai ragazzi un mondo sonoro più ricco.
Roberto Agostini Esatto. Lezione dopo lezione, meno tempo dedico allo studio della storia e sempre di più lo dedico all’ascolto e alle attività di “invenzione” musicale ispirandomi alla “pedagogia dell’invenzione musicale” del Centro Studi Maurizio Di Benedetto. In pratica, dopo lo studio dei repertori e l’apprendimento delle tecniche di base per suonare, fin dalla prima media passo subito a cercare di fare in modo che i ragazzi inventino musica loro, usando la loro fantasia per potersi esprimere musicalmente. In questo le tecnologie digitali sono molto utili, perché quando l’obiettivo didattico non è quello di insegnare la semi-croma, la breve o la terzina, ma è lavorare sull’inventiva, le tecnologie digitali permettono di bypassare competenze musicali specialistiche per riuscire comunque a mettere insieme un evento sonoro inedito. Con questo non voglio dire che la capacità strumentale sia inutile, ma che un obiettivo per un insegnante può essere quello di favorire la creatività degli studenti lavorando in modo diverso rispetto allo studio strumentale.

MusicEduPuò essere che le tue competenze musicologiche in ambito popular ti aiutino a centrare meglio il tuo lavoro di insegnante con i ragazzi di oggi? Mi riferisco al contesto storico in cui i ragazzi sono immersi e alla loro predisposizione a fare uso della tecnologia digitale in modo spinto, anche se inconsapevole, per creare musica in forme sempre meno tradizionali. 
Roberto Agostini Riguardo alla musicologia, il mio tipo di formazione viene dalla semiotica della musica e questo mi ha dato una prospettiva “culturologica” della musica, cioè cerco di capirne il senso. Perciò quando lavoro con i ragazzi sono molto interessato a dargli il contesto di riferimento e la capacità interpretativa degli eventi musicali. Cerco cioè di fargli capire che cosa questi eventi comunicano, sia che si tratti di repertori che essi stessi ascoltano, sia di repertori che non sono abituati ad ascoltare semplicemente perché non hanno ancora avuto occasione di sentirli. È questa la sfida. Soprattutto quando si arriva ad ascoltare il Novecento musicale… E le tecnologie rientrano appieno in questo approccio perché permettono ai ragazzi di riflettere sulle pratiche di ascolto. È vero che spesso i ragazzi hanno un atteggiamento passivo, anche se mostrano molto interesse a capire come funzionano i vari software, ma basta stimolare un po’ di più questo interesse per fargli capire che come e perché devono essere loro a comandare le tecnologie e non viceversa, e a controllare quello che fanno. Non è facile, ma si tratta di far capire loro che differenza c’è tra usare Spotify oggi e ascoltare musica come l’ascoltavano i loro genitori. 

MusicEduDa più parti si sta riflettendo sull’opportunità di rendere consapevoli i bambini, fin dai primi anni di scuola, del mondo sonoro che li circonda, anziché avvicinarli alla musica attraverso gli strumenti musicali. Mi pare un approccio propedeutico al tuo successivo lavoro creativo con i ragazzi delle medie.
Roberto Agostini Forse non ci rendiamo conto che oggi possiamo fare delle cose che quindici anni fa sembravano un sogno. Il fatto di poter dare musica da ascoltare ai ragazzi a casa attraverso l’uso di piattaforme online oppure poter registrare un paesaggio sonoro con un piccolo dispositivo digitale sono cose oggi alla portata dei bambini… anche perché insegnare uno strumento musicale a un bambino piccolo non è la cosa più giusta da fare.

MusicEduCi puoi raccontare il programma didattico tipo all’interno delle tue classi?
Roberto Agostini Intanto evito il classico stereotipo di chi vorrebbe “rompere i flauti”! Io il flauto dolce in classe lo uso. In questo momento sto spingendo di più sulle attività con le nuove tecnologie, ma non significa che in classe non suoniamo anche con tastiere, flauti o qualunque altro strumento un ragazzo sappia suonare. Però, le frontiere su cui più sperimento sono legate alle tecnologie digitali e precisamente su tre fronti diversi. Uno è quello delle Digital Audio Workstation, in particolare Soundtrap, perché le DAW in generale sono strumenti flessibili che permettono di fare tante cose, anche grazie a materiale predisposto, introducendo i ragazzi alle attività di montaggio multitraccia ed editing musicale. Una volta acquisiti i principi generali, con le DAW si possono poi usare gli strumenti virtuali, si può registrare e creare musica da soli per fare podcast, audiovisivi e produrre audio finalizzato anche a cose non specificatamente musicali, come il classico podcast in forma di programma radiofonico o progetti di carattere estetico/artistico come quella sorta di “melologo” che spesso chiamo “mettere in scena la voce” oppure “la grana della voce”, come lo definiamo io e il mio collega Michele Chiappini. Un secondo fronte è quello del coding e dello sviluppo del pensiero computazione, la produzione di musica attraverso la programmazione su Scratch, che è una risorsa famosissima in tutta la comunità scolastica, e su un altro software di live coding professionale gratuito che si chiama Sonic Pi, che va programmato a righe di testo, quindi in un formato astratto non facile per i ragazzi, ma molto stimolante. La terza frontiera che sto sperimentando a partire da quest’anno è quella dell’intelligenza artificiale generativa, scoprendo che le applicazioni migliori sono quelle a pagamento e purtroppo poco utilizzabili a scuola. Ho però trovato qualche soluzione gratuita con cui fare toccare con mano ai ragazzi l’intelligenza artificiale spiegando loro un’idea molto semplice: interrogare l’IA per trovare delle idee, e non semplicemente per “copiare”. Cercare modi per farsi venire delle idee per comporre è una nobile pratica che anche compositori come John Cage hanno usato. Così anche noi in classe interroghiamo l’IA di Bing per produrre codici Python destinati alla creazione di file Midi. In questo momento Microsoft Bing è la chatbot che risponde meglio a questo tipo di esigenza e fa meno errori rispetto a Bard di Google e Chat GPT 3.5 di Open AI. Attualmente sto portando avanti questa sperimentazione insieme al collega Luigi Parisi con una terza media. L’abilità dei ragazzi è descrivere quello che vogliono ottenere dalla IA dal punto di vista musicale. Una volta prodotta l’idea, passano sulla DAW per comporre un brano elaborando il file midi ottenuto interrogando l’AI. Stiamo usando anche l’IA di Canva per generare immagini che diano ispirazione anche visiva a quella che sarà la loro composizione. 

MusicEduQuindi avete deciso di non usare programmi di intelligenza artificiale specificatamente dedicati alla composizione musicale?
Roberto Agostini Ne abbiamo provati alcuni, ma abbiamo visto che quelli gratuiti non producono delle cose così belle e soprattutto non si capisce come lavorano gli algoritmi, quindi non le riteniamo utili per sviluppare progetti educativi con l’AI, che secondo noi devono puntare anche allo sviluppo del pensiero critico nell’uso dell’AI. Ho trovato invece dei plugin di Magenta sviluppati per Ableton Live, i quali permettono in modo molto intuitivo e senza passare dal codice di produrre degli eventi, ma li userei sempre con l’obiettivo di trovare delle idee, mai per finalizzare una composizione. C’è anche un altro strumento molto potente messo a disposizione da Spotify che produce direttamente file MIDI registrando la propria voce. Infine c’è l’applicazione Teachable Machine di Google, che userò con una terza media in ottica interdisciplinare, perché permette di addestrare l’intelligenza artificiale in chiave machine learning, attraverso input sonori che riceve ed elabora, immagazzinandoli come database di conoscenze da utilizzare successivamente. Vedremo… Il campo è in continua evoluzione. Il nostro obiettivo non è solo considerare gli strumenti utili per comporre, ma anche trasferire ai ragazzi quello che sta dietro, i problemi chiamati in causa, che sono anche di carattere etico e sempre con l’obiettivo di dirgli che devono essere loro a controllare la tecnologia e non viceversa, cosa ancora più cruciale con l’intelligenza artificiale.

MusicEduPer un insegnante non avvezzo all’informatica musicale, imparare a usare un programma è un impegno gravoso, soprattutto se poi deve insegnarne l’uso ai ragazzi. Anche parlando di coding, che noi musicisti informatizzati abbiamo sempre chiamato “programmazione”, quando un insegnante poco esperto vuole far lavorare i ragazzi, spesso è più impacciato di loro.
Roberto Agostini Anche se un programma come Scratch è molto limitato, soprattutto per la musica, è invece molto utile come introduzione al coding. Un insegnante come un ragazzino che non hanno mai fatto programmazione, capiscono al volo l’uso dei blocchi e ci mettono un attimo per fare quelle due cose che Scratch permette di fare. Però dura lo spazio di quattro lezioni perché dal punto di vista musicale Scratch è sicuramente molto limitato. Passare alle stringhe di codice prevede invece una voglia di apprendere da parte dello studente e anche un lavoro importante da parte dell’insegnante, anche se non è richiesto raggiungere un livello professionale. Io stesso mi considero un semplice dilettante. Il fatto è che la nostra materia, la musica, è molto eterogenea e così ognuno di noi ha le sue modalità, i suoi strumenti e segue un suo percorso. Questi strumenti così specifici, ma che ormai hanno una ventina d’anni anche se solo da poco li si usa a scuola, vengono visti da molti insegnanti come un percorso distante da quello che si sta facendo in classe, che li porterebbe a perdere l’orientamento. È per questo che il coding è molto richiesto come laboratorio a sé che non va ad incidere sulla programmazione, mentre per me il coding è perfettamente integrato nel percorso di apprendimento dei ragazzi anche perché gli stimoli che gli do vanno a incidere anche sugli altri argomenti. Il coding, così come anche la DAW, permette di dare un contributo significativo a progetti interdisciplinari in un momento storico in cui la spinta istituzionale a lavorare con le tecnologie è fortissima… penso al Piano Nazionale Scuola Digitale o al DigiComp, le Competenze Digitali Europee… Oppure all’enfasi che viene data in questo periodo alle cosiddette STEAM. In questo contesto, se la musica non affronta il tema di cosa vuol dire musica digitale a scuola, rischia di rimanere indietro e soprattutto estranea a quello che si sta facendo nelle altre materie. Con il coding la musica può diventare la protagonista del percorso interdisciplinare, superando anche quell’atteggiamento che gli insegnanti di altre materie hanno nei nostri confronti quando ci chiedono di comporre una “musichetta” per abbellire i loro progetti. Noi dobbiamo essere dentro i contenuti. Se un insegnante fa robotica, con il coding io posso dialogare sullo stesso piano applicativo e con competenze digitali di programmazione e non solo fare la “musichetta” per la documentazione audiovisiva del progetto.

MusicEduL’interdisciplinarietà è oggettivamente la strada più interessante per chi si occupa di formazione musicale. Non a caso si parla di “progetti sonori” e non di “composizioni musicali”, proprio per collegarsi in modo più aperto a progetti interdisciplinari.
Roberto Agostini Nei progetti interdisciplinari la componente sonora è ancora minoritaria, ma qualcosa si sta muovendo grazie ai podcast e alle web radio, che sono i media che portano i ragazzi a lavorare anche sulla musica, naturalmente, perché fare una sigla musicale per un programma radiofonico è un “compito autentico”. E l’insegnante di musica dovrebbe cogliere questa occasione.

MusicEduÈ molto interessante che la radio non muoia mai. In qualche modo è coerente con l’evoluzione della musica di oggi che è diventata soprattutto ritmo e parole. La radio è un’occasione unica per ridare al suono una dignità propria che è la capacità di stimolare immagini nella mente degli ascoltatori. È un esempio di come i ragazzi possano tornare ad ascoltare musica senza essere distratti dalle stimolazioni visive. 
Roberto Agostini Questa cosa la devo ancora capire. Sarebbe un fenomeno da studiare e forse qualcuno lo avrà anche già studiato: da una parte abbiamo i ragazzi che non riescono ad ascoltare musica senza guardare il video. Poi però gli dai un podcast e quello lo ascoltano senza le immagini. Il podcast è davvero un pozzo da cui pescare attività perché si lavora sui contenuti scolastici e qualsiasi materia può trovare la sua collocazione. Inoltre, un ragazzo che studia musica non solo può trovare il suo spazio in chiave musicale attraverso una sigla, un sottofondo o uno stacchetto, ma può anche scoprire il mestiere di tecnico del suono o di quello che fa post-produzione o registrazione delle voci, tutti “compiti autentici”. E lì i ragazzi diventano davvero bravi, anche se non usano ancora strumenti professionali. 

ESPERIENZE DIDATTICHE CON LA DAW:

https://sites.google.com/ic7bo.istruzioneer.it/agostini/daw/esperienze-didattiche-daw

ESPERIENZE DIDATTICHE CON IL CODING:

https://sites.google.com/ic7bo.istruzioneer.it/agostini/coding-con-i-suoni/esperienze-didattiche-coding

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