LE FORME DEL SILENZIO IN MUSICA. RECUPERARNE IL VALORE

di Stefano Greco *

Chiamiamo “silenzio” situazioni che hanno senso ed effetti molto diversi tra loro. È difficile quindi provare a tracciare un ordine espositivo in una materia che risulta essere così sinergica, ampia e dalle mille identità. Eppure ci provo, cercando di riflettere sugli attuali campi d’azione nonché sulle frontiere potenziali con entusiasmo e apertura mentale.
Conosciamo il silenzio-assenso nelle stanze della legge, il silenzio-concentrazione di ogni tregua prima di una tempesta, il silenzio-meditativo o contemplativo, tipico di quelle attività che vogliono congiungere corpo e mente, il silenzio-religioso, tappa obbligata di tutti i luoghi di culto, il silenzio-sciopero o denuncia che sfida un sistema, il silenzio-punitivo nei rapporti interpersonali che stanno oramai scadendo il loro tempo e poi il silenzio-comunicazione, il silenzio-simbolo, il silenzio-musica, il silenzio-ascolto, il silenzio… silenzio.

Tutto è già stato detto, ma poiché nessuno ascolta occorre sempre ricominciare”. Questo articolo è nato da questo potentissimo aforisma di André Gide. Infatti, alcuni silenzi sembrano non resistere alle sfide del presente. 
Prendiamo per esempio le nuove produzioni musicali, quelle che viaggiano facilmente in radio; tre minuti circa di brano quando è possibile, con caratteristiche molto tipiche: parte vocale presente dall’inizio alla fine quasi a voler coprire l’arrangiamento musicale, filtri che processano i suoni, zero pause o sospensioni, poche evoluzioni o variazioni dinamiche. Stessa cosa sui mass media preposti alla diffusione della musica attuale: jingle anticipatori, pubblicità invasiva, volumi elevatissimi, nessun momento di attesa silente, rumore pre-registrato di applausi scroscianti, prosodia delle voci presentatrici sempre più incalzante, senza modulazione di tempo e con pause di ritmo inesistenti nell’eloquio. Il caos!
E l’ora di musica? È sempre più un’ora di parole, di rappresentazioni, di teorie che emarginano orecchio e ascolto. Quindi, quale differenza potrà fare rispetto alle lezioni di altre materie?
In una realtà in cui anche il minuto di silenzio previsto dalla sacralità del lutto viene sostituito con un minuto di gran baccano e di forti rumori simulati da pentole e strumenti musicali, ogni racconto perde profondità e anche la morte cambia significato.
Se poi ci addentriamo nel mondo della comunicazione, l’ascolto “grida aiuto”. Perché ascoltiamo per rispondere e non per comprendere davvero. E mentre il mittente parla, il destinatario lo sovrasta con le sue parole, le orecchie  sono occupate e il silenzio, invece di fare da ponte in questo scambio, è assente.
È come se non potessimo più vivere occasioni di profonde interazioni o di respiri, di pause, di pace, di ozio. Siamo investiti da istruzioni e consigli, bombardati da informazioni, lasciati volutamente confusi e non reattivi. Come se la libera scelta spaventasse, e così si accendono delle luci là dove si avrebbe necessità di ombre. Il silenzio è un’arma che porta libertà, personalità individuale e analisi critica.

Ma se il silenzio ha perso il suo posto è perché la parola gliel’ha rubato, perdendo a sua volta di pregnanza al momento del suo slancio. Il mondo della parola è costruito sul mondo del silenzio come quello del suono, quindi non esisterebbe parola se non ci fosse silenzio. La natura trasparente, sospesa del silenzio rende a sua volta trasparente e sospesa anche la parola, a volte in matrimonio altre volte in cosciente rottura.
Per la parola il silenzio è natura, riposo, primitività. Nel silenzio, la parola si ritempra, si purifica dall’empietà a cui ha dato origine. Nel silenzio il linguaggio trattiene il respiro e si purifica. Anche quando è sempre uguale, la parola riesce ad apparire sempre nuova non appena emerge dal silenzio. Insieme allo spirito può donare emozioni alla parola. La perfezione è raggiunta quando l’originalità del silenzio naturale e quella dello spirito si incontrano nella stessa persona unendosi. Questo conferisce alle parole la loro sicurezza, la loro fiducia e anche la loro sublimità. Come un sonnambulo, la parola ripercorre i movimenti che l’hanno preceduta.

Quando parli, il suono ti sgorga dalla bocca come l’onda che straripa da un bacino troppo pieno. Esso ti impregna il corpo e qui si propaga. Ogni onda sillabica si riversa e dilaga su di te. Il tuo corpo può avvertirne la diffusione su tutta la sua superficie grazie alla sensibilità cutanea il cui meccanismo di controllo funziona come una tastiera sensibile alle pressioni acustiche.” Ah se ci fosse ancora Tomatis!
Se ci fosse ancora Tomatis, anche le nostre pratiche di insegnamento prevederebbero una minore presenza di linguaggio verbale a favore della gestualità e dell’ascolto attivo. In fondo la missione del nostro ruolo di insegnanti è quella di facilitare il processo di comprensione, personalizzandone gli strumenti al fine di edificare consapevolezze su criteri di bellezza e facilità, monitorando tutto il circuito. Qui il silenzio diverrebbe vero e proprio atto di amore perché insegnare è mettersi da parte.

NELL’ESIBIZIONE
Esistono una marea di guide e rituali per migliorare la relazione corpo-mente a supporto di una performance consapevole. Essere proiettati sul presente, sentirlo, rilassare il respiro, distendere le tensioni, propagare vibrazioni e focalizzarsi sui propri sensi sono parte di questo viaggio preparatorio all’esibizione. A prescindere dalle diverse convinzioni e orientamenti, credo che ognuno di noi possa cercare e quindi trovare prima dell’esibizione un momento unico per collegarsi con se stesso, provando a focalizzare l’energia necessaria per godere al meglio di quel momento straordinario che è il palco. Quante volte leggiamo insoddisfazione nei nostri allievi subito dopo l’esibizione? E quante altre non si riesce ad assistere a un accordo felice tra godimento e tecnica? Queste due condizioni, così ampie e delicate, potrebbero trovare armonia e risposta nel silenzio come totale distacco dal resto della realtà nonché concentrazione su se stessi nel senso più pratico del termine, ovvero porsi al centro.

NELL’INTERPRETAZIONE
Cantare è un atto comunicativo, raccontare un messaggio è il suo fine. Da questo punto di partenza il silenzio può diventare stile se si sceglie il “less is more” al posto dell’eccesso estetico, quando si vuole sottolineare una parola del testo piuttosto che un’altra, quando l’arrangiamento musicale sparisce un attimo o cala il sipario. Invece di accrescere note e volumi, aggiungiamo silenzio. Imparare a farsi da parte, lo so, è difficilissimo, come lo è semplificare, togliere invece di aggiungere. Aiutiamoci. Anche il silenzio potrebbe avere uno spazio e una segnaletica sui nostri testi stropicciati come sui nostri spartiti. Se l’effetto è il surrogato dell’arte, il respiro è occasione di verità e di identità. Sogno un mondo in cui il virtuosismo lascia il posto alla potenza dell’autenticità.

TORNANDO ALLA DIDATTICA DELLA VOCE…
Il silenzio è altresì materia di igiene vocale, nel mantenimento o ripresa del tono muscolare o semplicemente per rilassare il corpo; il silenzio è ristabilire il senso dell’udito come primario quando si parla di corpo che suona e corpo che vibra, l’ascolto di sé ambisce alla sua massima espansione senza la parola; il silenzio è parte attiva della preparazione vocale anche nel riscaldamento soprattutto nella propriocezione fono-risonanziale. Perché in una prospettiva in cui il gesto accompagna la parola e corpo-suono sono un’unica entità inscindibile, il silenzio diventa arché.

L’ATTO CREATIVO È UN ATTO SILENZIOSO?
Sul momento creativo potremmo parlare per anni… dietro l’ideazione di una nuova produzione artistica si annidano confusioni e annodano dubbi. È una questione di ispirazione e di confezionamento. Si affianca spesso l’atto creativo a quello del parto materno: il momento dell’ideazione, la decisione e le fasi lunghe e coraggiose dell’attesa con i suoi step di controllo e poi l’imprevedibilità della “messa al mondo”. Si potrebbe dire che “alcune cose si apprendono dal fastidio”. Questa frase, un po’ cruda ma realistica, potrebbe descrivere autenticamente il processo obbligato da compiere per arrivare a completare ogni tipo di parto, che nell’incertezza dell’oggi potrebbe essere ogni “nuova consapevolezza”. Un denominatore comune per lo studio della tecnica, per l’atto creativo, come per l’identità vocale. Dietro ogni scelta di regia artistica c’è silenzio, accanto a ogni conferma di bozza di un testo in rima c’è silenzio, dentro a ogni stato di immersione creativa c’è silenzio, quasi come a voler dividere la vita di sempre dall’unicità dell’arte. Come a dover scindere il caos dall’ordine. O quasi a congiungere il palco con l’essenza piena della vita reale. Accanto a ogni parola c’è uno spazio vuoto che è silenzio, a rendere speciale un suono c’è il volume più basso a suo supporto e godimento e l’emozione si ciba del silenzio per lasciare il segno. Recuperiamolo, consideriamolo dando sempre nuove accezioni, facciamogli spazio, non occupiamolo. Ora è giunto il suo momento… eccolo.

* Socio AICI – Associazione Insegnanti di Canto Italiana– settore “Coralità”

AICI – ASSOCIAZIONE INSEGNANTI DI CANTO ITALIANA
AICI nasce e si sviluppa con il proposito di realizzare un punto di aggregazione, formazione e approfondimento sulle tematiche legate alla vocalità e alla sua pedagogia. Tutto ciò attraverso l’incontro, il confronto e la collaborazione fra tutte le figure, professionali e amatoriali, a contatto con il fenomeno della voce. L’obiettivo di AICI è che gli insegnanti di canto possano trovare nell’Associazione confronto e scambio, approfondimento, ricerca, studio e stimolo verso una sempre più aggiornata pedagogia e didattica del Canto. 
È iscritta nel registro del Ministero dello Sviluppo Economico tra le associazioni che rilasciano la certificazione di qualità dei servizi prestati dai soci a seguito di una formazione permanente e si propone come punto di riferimento per gli allievi che desiderino avvicinarsi allo studio del canto avvalendosi di un insegnamento serio, preparato e aggiornato sottolineando quest’ultimo come libero e fondato sull’autonomia delle competenze e sull’indipendenza metodologica di ogni insegnante. AICI riconosce nel canto un’arte che va oltre il tecnicismo, avvalorandolo come espressione di emozioni, di libertà e bellezza.

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