IL SOLFEGGIO. QUANTO SOLFA E QUANTO OPPORTUNITÀ?

di Carmelo Farinella

Molti di noi hanno sperimentato la pratica del solfeggio, definito da Carlo Delfrati “croce e delizia di ogni giovane che si affacci allo studio della musica (2018)”. L’etimologia del termine solfeggio, solfa, che proviene dalla prima e dall’ultima nota della solmisazione, ben si presta a una polisemia con il lemma italiano che identifica una pratica monotona ed insistente.

Il solfeggio tradizionale, ovvero la lettura a tempo delle note di uno spartito musicale, con il nuovo ordinamento dei Conservatori di Musica è stato assimilato all’interno di percorsi più eclettici e articolati. I corsi di teoria, ritmica e percezione musicale, infatti, accanto al solfeggio tradizionale contemplano esercitazioni che mirano allo sviluppo dell’orecchio e del pensiero musicale, mediante il riconoscimento di intervalli, la lettura intonata, l’analisi di incisi melodici, ritmici, di strutture armoniche. Nei licei musicali, allo stesso modo, la pratica del solfeggio viene generalmente adottata per consolidare i percorsi di teoria, analisi e composizione, abili nell’avvicinare gli studenti allo studio degli elementi formali, armonici e melodici di repertori differenti.

Nella scuola primaria e nella scuola secondaria di I grado, in molti casi, il solfeggio viene proposto come attività introduttiva del curricolo musicale, immediatamente successiva alla presentazione delle note e dei valori musicali. Come richiamato nelle Indicazioni Nazionali (MIUR, 2012), il docente deve promuovere un’esperienza musicale significativa, che ricorra alcanto, alla pratica degli strumenti musicali, alla produzione creativa, all’ascolto. La normativa sottolinea come la scuola del primo ciclo debba accompagnare gli alunni al piacere di fare musica, allo sviluppo del senso estetico attraverso l’esplorazione sonora, alla conoscenza di svariati repertori, alla pratica vocale e strumentale. A tal fine, è necessario esperire metodologie che consentano di fruire della Musica in maniera attiva e di giungere alla conoscenza del linguaggio specifico partendo da forme di notazione analogiche.

Il solfeggio tradizionale può costituire uno stimolo cognitivo robusto, ma non consente di appassionare alla musica o di far progredire gli alunni nel pensiero musicale; inoltre, se reiterato nel tempo e non preceduto da un’esperienza attiva con i suoni, esso rischia di demotivare bambini e ragazzi allo studio della musica. 

Alla luce di quanto detto, non bisogna però ritenere che il solfeggio vada inevitabilmente abolito; piuttosto, occorre che esso venga proposto con le modalità adeguate.

Alcune forme di solfeggio, infatti, possono costituire espedienti interessanti per il raggiungimento dei traguardi di Musica del primo ciclo: la lettura ritmica e quella intonata, se accompagnate dall’utilizzo del corpo, della voce o degli strumenti, veicolano l’assimilazione dei parametri del suono in maniera dinamica e coinvolgente; esse permettono di consolidare la capacità del tapping in sincrono, di intonare mantenendo una ritmicità predefinita, di acquisire la percezione metafonologica del linguaggio mediante la sincronizzazione di fonemi con il ritmo musicale (Kraus et al., 2013). 

Per la conoscenza dei valori musicali, un’elevata efficacia possiede l’approccio sillabico, proposto da Zoltan Kodály e rielaborato da Giordano Bianchi (Bianchi G., Gavazzoni M., 2010, Farinella C., 2013), ovvero l’adozione di sillabe o fonemi in relazione a durate specifiche con l’ausilio della sincronizzazione corporea. 

Anche per queste attività è opportuno tuttavia proporre in prima istanza esperienze di tipo cinestetico, partendo dal movimento libero in relazione all’ascolto, per cercare di perseguire gradualmente una certa sincronicità con la musica. Secondo Jacques Dalcroze (Di Segni-Jaffé, a cura di, 2008), il luogo in cui la musica assume significato è il corpo, non lo spartito. Allo stesso modo, Kodály sosteneva, a ragione, che il ritmo non fosse un fatto matematico, ma una categoria psicologica (Mangione, 2007, Farinella, 2013) e, come tale, esso necessita di essere percepito a livello propriocettivo. Solo successivamente il movimento e il flusso sonoro assumeranno significato anche attraverso la notazione convenzionale.

Esempio di lettura ritmica facilitata per gli alunni influenzati da difficoltà di lettura

La stessa partitura per un alunno influenzato da deficit cognitivo
e difficoltà di articolazione del linguaggio

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE DI RIFERIMENTO

Bianchi G., Gavazzoni M. (a cura di) (2010), Il “metodo Bianchi”. Apprendere con la musica dai 3 ai 7 anni, FrancoAngeli.

Di Segni Jaffé L. (2008, a cura di), É. Jaques-Dalcroze, Il ritmo, la musica e l’educazione, Torino, EDT.

Delfrati C. (2018), Processo al solfeggio, Antonio Tombolini editore.

Farinella C. (2013),  Musica a scuola e disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), Artestampa.

Kraus N. et al. (2013), The ability to move a beat is linked to the consistency of neural responses to sound, Journal of neuroscience, 18 September, 33 (38) 14981-14988.

Mangione Giovanni (2007), La pedagogia della Musica secondo Zoltán Kodály, UNI Service.

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