IL CORPO DELLE ARTISTE SUI SOCIAL. LA RICERCA “WOMEN IN MUSIC N.3”

di Francesco Sessa

L’autorappresentazione delle artiste italiane e la costruzione di un modello di genere nel pubblico, in particolare quello dei più giovani su Instagram. È questo il focus della terza edizione della ricerca “Women in Music” di Sae Institute, l’accademia internazionale con percorsi in produzione audio, cine-televisiva e game. Un tema complesso e all’ordine del giorno soprattutto tra le nuove generazioni, che fanno di Instagram un riferimento quotidiano. Questa piattaforma fa infatti dell’autorappresentazione il suo contenuto principale, contribuendo – secondo alcuni esperti citati dallo studio – alla creazione di una performatività gendered. Argomento che rientra all’interno del dibattito più ampio in merito all’artista-prodotto.

I risultati hanno l’obiettivo di comprendere due processi: da un lato l’iter di autorappresentazione sui media e dall’altro gli effetti di questa costruzione nell’audience. L’analisi include lo studio di immagini pubblicate sui profili di dieci artiste, per un totale di quasi mille foto, nel periodo compreso tra marzo e ottobre 2022. Tre sono stati i driver principali: il corpo, suddiviso in scoperto o coperto; la postura, spontanea o artificiale; e il contesto, ovvero lo spazio che fa da cornice all’immagine e che può essere performativo o informale. Le artiste coinvolte sono: Elettra Lamborghini, Emma, Alessandra Amoroso, Elodie, Annalisa, Francesca Michielin, Madame, Levante, Gaia e Victoria dei Måneskin, ordinate in maniera decrescente per numero di follower.

La ricerca, tuttora in corso, prevede un secondo momento di interviste con foto-stimolo a giovani di età compresa tra 18 e 25 anni in base al genere in cui si ritrovano, da cui sono emerse alcune considerazioni comuni. Il corpo assume un ruolo centrale nell’inquadratura, con posture ricercate, quindi costruite, e o-scene, ovvero private della scena e incoerenti con il resto del post (ad esempio con la didascalia). Inoltre, quasi in tutti i casi il corpo assume posizioni erotiche, con riferimenti volutamente provocatori o mirati a “restituire una retorica della trasgressione consolidata”, oppure con l’intenzione di ottenere un riscontro dall’utente (like, commento, ricondivisione).

Al campione sono state sottoposte foto decontestualizzate e senza volto, così che non potesse essere influenzato dal sapere di chi si stesse parlando. Inoltre, in ambito musicale, il panorama internazionale rimane il punto di riferimento, tanto che la maggioranza dichiara di non ascoltare autrici italiane se non per caso. Ne risulta quindi una scarsa conoscenza del repertorio, affiancata però a una conoscenza dei personaggi in relazione alla loro esistenza al di fuori del contesto prettamente musicale.

Stupisce, a proposito, che le artiste nazionali siano quasi considerate pudiche rispetto alle colleghe oltre confine, sia per i ragazzi sia per le ragazze, che concordano anche nel pensare che l’essere un personaggio pubblico renda meno controversa la decisione di esporre il proprio corpo. Tuttavia, nel campione maschile prevale la convinzione che si tratti di una scelta strategica e commerciale, mentre per le ragazze sussiste una possibilità espressiva che è solo appannaggio delle artiste.

In estrema sintesi, il giudizio espresso da ambo le parti è positivo e considera gli scatti estetici non tanto espressione di una “spregiudicatezza” ma più che altro una dimostrazione della piena consapevolezza di sé. Con l’età, poi, aumenta la distanza tra quei profili e quelli delle intervistate più adulte, che dichiarano di non condividere immagini simili, nonostante tutte concordino nel comprenderne le intenzioni: rendere noto un momento di affinità e armonia con il proprio corpo. Gli intervistati uomini, invece, hanno evidenziato la libertà di ognuno di esprimersi come crede, purché ci si assuma la responsabilità delle conseguenze, e la rivelazione del volto non faceva che supportare la loro tesi della strategia di posizionamento e vendita. In secondo luogo, chi ha risposto tra gli uomini ha prevalentemente cercato di razionalizzare il tema del gender gap, considerato sì un problema sociale ma di cui loro non si sentono responsabili. Infine, si evince una piena interiorizzazione dei valori connessi al patriarcato, che sembrano attivarsi in automatico.

La terza edizione di “Women in Music”, il progetto di ricerca portato avanti da SAE Institute Milano, da tre anni si fa teatro del dibattito intorno alla rappresentazione di genere nell’industria musicale. La ricerca, contenuta in un’opera collettanea dedicata alla musica e non solo, dal titolo “POCHE” ed edita da Write Up Books, ospita contributi rivolti all’industria creativa nel suo complesso, audiovisivo e gaming inclusi.

Questo libro è un tentativo di fotografare lo stato dell’arte e vuole diventare un punto di incontro tra industria e accademia: oggi i risultati ci dimostrano che l’attenzione intorno a queste tematiche c’è ed è sempre più vigorosa, che esiste in effetti una questione di genere, seppur la strada da percorrere sia lunga e dissestata, tanto che qualcuno ha parlato addirittura di un secolo prima di poter vedere un cambiamento concreto – commenta Alessandra Micalizzi, psicologa e docente, che ha curato il progetto dal principio – Dal canto nostro evidenziamo alcuni aspetti qualitativi, come il fastidio che questo dibattito suscita o l’istinto di tirarsi indietro e mettersi sulla difensiva. Tutti temi che non fanno che sottolineare l’urgenza di questo confronto, di sedersi a un tavolo e discutere, dando voce alle reti di rappresentanza e a quel dinamismo culturale che, per fortuna, si sta radicando sempre più nel sottosuolo”.

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