DONNE E INDUSTRIA MUSICALE. FORMARE PER RIDURRE IL GENDER GAP
di Francesco Sessa
C’è un problema di rappresentazione di genere all’interno dell’industria musicale? Secondo una ricerca condotta da SAE Institute, sì. L’accademia internazionale di creative media ha portato avanti uno studio di tipo qualitativo che ha confermato alcuni dati quantitativi disponibili da altre ricerche di carattere nazionale e internazionale: i numeri ci dicono che le donne sono solo il 27% tra gli artisti, il 12,5% tra i compositori e il 2,6% nella produzione. C’è dunque un problema di accesso al lavoro per le donne nell’industria musicale. Ma quanto può influire il momento della formazione sul superamento di questo gap? Ne abbiamo parlato con Alessandra Micalizzi, psicologa, docente di sociologia dei nuovi media e ricercatrice presso SAE Institute Milano.
MusicEdu Da dove è partita la ricerca?
Alessandra Micalizzi Prima di tutto devo farti una breve premessa sulla mia formazione: sono una psicologa sociale, non appartengo al mondo della musica ma ci sono arrivata grazie alla collaborazione con SAE Institute. Sono entrata cinque anni fa, con il compito di occuparmi delle discipline dell’area socio-culturale. Lo spunto per la ricerca è nato durante la pandemia e soprattutto da una considerazione emersa tra i banchi: abbiamo poche studentesse al corso di produzione audio, sebbene il trend sia in aumento. Da qui ci siamo chiesti se fosse una questione connessa alla mancanza di interesse per la disciplina o se ci fossero altre ragioni, più profonde di matrice culturale e psicologica. Erano già state fatte altre ricerche, ma nella maggior parte dei casi si trattava di lavori realizzati attraverso approcci quantitativi e campioni molto piccoli, autoselezionati.
MusicEdu C’era un vuoto, dunque.
Alessandra Micalizzi Per lungo tempo ci si è poco interessati di questo aspetto legato alla musica. Da qui è nata l’idea di uno studio di tipo qualitativo: andando a fondo abbiamo scoperto che le donne nella musica sono poche e chi ci riesce fa fatica. Ci sono problemi di accesso e visibilità.
MusicEdu Quando avete svolto la ricerca?
Alessandra Micalizzi Nel 2020, subito dopo il primo lockdown, quando l’industria musicale era in ginocchio. I dati della ricerca sono stati raccolti nel saggio Women in Creative Industries, edito da Franco Angeli e presentati per la prima volta in un evento ufficiale il 4 giugno 2021.
In occasione dell’evento di giugno 2020 abbiamo organizzato una tavola rotonda con la partecipazione di esponenti del mondo accademico e dell’industria musicale per mettere a confronto modelli ed esperienze concrete. Da lì l’idea di incontrarsi annualmente per tenere alto l’interesse. Quest’anno l’incontro si è tenuto il 20 maggio: abbiamo presentato un modello interpretativo che a nostro avviso potrebbe funzionare per raccontare il ruolo e il vissuto delle donne in diversi contesti professionali e culturali. All’evento era presente anche Equaly, la prima realtà di rappresentanza dei diritti delle donne nell’industria musicale italiana. Loro hanno da poco chiuso la raccolta di alcuni dati sulla violenza di genere nel music business. Ho partecipato all’analisi dei materiali insieme alla collega Rebecca Paraciani e sono emerse cose molto interessanti: a parte la violenza fisica, molto più presente e subdola è la violenza verbale, quella che si esprime con frasi di disconferma, svalutazione, offesa. Per questo, l’incontro del 20 maggio ha visto anche un focus sulla rappresentazione delle donne attraverso le parole.
MusicEdu A quali conclusioni siete arrivate?
Alessandra Micalizzi Che i ruoli che le donne ricoprono sono quelli in cui gli uomini non vogliono stare, dove non c’è slancio individuale – si riconosce il lavoro del gruppo, non del singolo – e che, nei ruoli apicali, ci si arriva a fatica e spesso solo se ci si “mascolinizza”. A volte le donne vengono escluse a priori: o perché vengono riconosciute altre attitudini o perché non ritenute all’altezza. Purtroppo questa visione di un limite “naturale”, per così dire, trova riscontro in una ricca letteratura scientifica del passato in cui si motivavano le differenze tra uomini e donne in funzione di una sessualizzazione del cervello. A volte l’estromissione, come accennato, assume i tratti della violenza psicologica, volta a sminuire competenze e qualità. D’altronde, l’arte è cultura e la cultura è potere: la donna ne è sempre stata esclusa. Lo si vede anche nel mondo del cantautorato: pochissime donne scrivono canzoni. È un’aberrazione non legata a vocazione o capacità, ma a forme chiare di estromissione.
MusicEdu Quanto questo influisce sul momento formativo?
Alessandra Micalizzi Le nostre interviste ci hanno permesso di evidenziare alcuni meccanismi psicologici che trovano però le loro radici nell’introiezione di modelli culturali, purtroppo nella nostra cultura ancora molto al maschile. Le nostre intervistate, che osservano il mondo da un punto di vista privilegiato, hanno confermato che spesso le donne, soprattutto le più giovani, tendono ad auto-escludersi. Una differenza importante è segnata dalla mancanza o dalla ridotta presenza di modelli femminili: le donne producer sono solamente il 3%. Le donne sono anche molto ipercritiche e per questo si giudicano da sole non all’altezza. È la sindrome dell’impostore. C’è una forte consapevolezza nelle ragazze che decidono di intraprendere questo percorso formativo, il che le rende molto determinate. Noi mostriamo i modelli alle studentesse, con il loro vissuto e la loro determinazione a voler superare i limiti. L’organico di SAE cerca di trovare modelli femminili: tutor donne, docenti donne, producer donne.
MusicEdu Visto che lei non viene dal mondo musicale, nota un problema superiore in questo mondo piuttosto che in altri contesti comparabili?
Alessandra Micalizzi Sicuramente è una cosa che mi ha colpito: quando sono entrata in SAE, cinque o sei anni fa, ero l’unica donna strutturata nell’ambito accademico. Sembra che si considerino le donne come senza talento: nell’editoria, per esempio, siamo più avanti. Quando si parla di talento, concetto astratto, è facile escludere… Parliamo delle quote per la parità di genere: c’è chi storce il naso. Sono forzature, vero, ma servono a interrompere un meccanismo: più le donne sono visibili, più sono apprezzabili e apprezzate. La questione dei modelli è fondamentale, deve essere un primo punto. Deve essere il primo passo per uscire dalla variabile di genere, così poi da dimenticarci delle percentuali di donne e uomini: finché parliamo di questo, vuol dire che il problema c’è.
MusicEdu Il modello femminile che voi portate nel momento formativo deve dunque essere visto come qualcosa di naturale.
Alessandra Micalizzi Ora dobbiamo far familiarizzare il più possibile con il fatto che le donne possono fare carriera nell’industria musicale. Dobbiamo metabolizzare le diversità. Per questo noi stiamo lavorando fino dai primi momenti formativi, dall’infanzia. A Zurigo, grazie all’Istituto Italiano di Cultura e al SAE Institute di Milano, presso la Scuola Italiana Statale Bilingue Casa D’Italia, abbiamo presentato Viola può fare la Musica!, edita da Homeless Books, una favola per bambine e bambini che mostra come la musica possa essere un mestiere per tutte e tutti. È un laboratorio in chiave sperimentale: ripercorreremo diversi passaggi della storia, ascolteremo il vissuto di figure femminili della musica e lavoreremo in modo pratico con i bambini. Tra i vari momenti abbiamo previsto che il gruppo classe ascolti degli spezzoni sonori da cui potere immaginare dei personaggi. L’idea è quella di esplorare anche i loro immaginari rispetto alla variabile di genere.
MusicEdu Che risposte avete avuto?
Alessandra Micalizzi Abbiamo lavorato con 22 bambini e bambine di prima elementare. Nessuno di loro ha avuto dubbi nel dire che la musica la possono fare tutti, ma hanno fatto molta fatica nel riconoscerla come un lavoro. E nonostante i bambini avessero sottolineato spontaneamente che si tratta di un’arte per uomini e donne, tutti hanno concordato nell’immaginare personaggi maschili abbinati ai suoni che abbiamo ascoltato in classe. Una curiosità: nell’immaginario dei bambini spopolano le professioni sanitarie, probabilmente conseguenza del lungo periodo pandemico che abbiamo vissuto un po’ tutti.