DIDATTICA SPECIALE AFAM (4). CODICI DI NOTAZIONE ALTERNATIVI: LA LETTURA SILLABICA
di Emilio Piffaretti
Siamo proprio sicuri che la lettura sillabica sia una pratica desueta? In queste poche righe si cercherà di affrontare uno degli argomenti particolarmente spinosi nel processo di formazione del musicista e che susciterà non poche critiche: il solfeggio parlato.
Prima di iniziare, proviamo a interrogarci sulla funzione della lettura parlata, attraverso la quale si sono formate generazioni di musicisti e insegnanti italiani, e non solo.
Pensando a uno studente in situazione di disabilità o disturbo, domandiamoci: “quali potrebbero essere i potenziali benefici ottenibili attraverso un’attività di lettura (ritmica) pronunciando i nomi delle note e quali abilità si potrebbero potenziare e sviluppare attraverso una pratica così complessa?”
Nei due video che seguono, sono documentate le due modalità di lettura (ritmica e sillabica) in studenti con disturbi dell’apprendimento. In entrambi si evidenziano le criticità incontrate dagli studenti durante lo svolgimento delle attività di lettura.
Da quanto riportato nei documenti, appare evidente che richiedere a uno studente (DSA) la lettura di un testo musicale (spartito) attraverso la pronuncia delle note, significa sottoporlo a un esercizio estenuante di equilibrismo lessicale. Infatti, le sette note (solo sette), all’interno di uno spartito si moltiplicano a dismisura!
Se prendessimo come sistema di riferimento il decagramma (rigo per pianoforte), la nota (sillaba) DO la troveremmo collocata in tre posizioni all’interno del decagramma, e in almeno altre quattro posizioni fuori dal sistema stesso, due all’estremo superiore e due all’estremo inferiore (Fig. 3):
La pratica del solfeggio parlato impone di pronunciare la nota DO (la sillaba “do”) ogni qualvolta la si incontrerà in una delle 7 posizioni (Fig. 4). Tale modalità di esecuzione può risultare molto problematica ed essere fonte di stress in studenti in situazione di disturbo.
Il principio posizionale sopra enunciato si applica per estensione a tutte le note (sillabe) causando l’aumento esponenziale della difficoltà di recupero mnestico dell’informazione base (nota/sillaba) e, banalmente ci si dovrà chiedere: quale nota devo cantare/suonare?
La complessità della notazione musicale, basata sul principio posizionale delle note (simboli) sul sistema pentagramma (o simili), pone lo studente DSA – o con altre tipologie di disturbo – di fronte al faticoso compito di decrittare rapidamente i “segni” collocati all’interno del sistema stesso (capita spesso di sentire studenti lamentarsi del lungo tempo dedicato allo studio di poche righe e della fatica accumulata durante lo svolgimento).
A questo punto dobbiamo domandarci: “come possiamo aiutare lo studente nel cammino verso l’autonomia nel processo di lettura musicale?”
Non bisogna dimenticare che il “solfeggio” è (e rimane) una “tecnica di lettura” – come molte succedutesi nel corso dei secoli e legate a doppio filo con lo sviluppo della scrittura musicale (chironomia, solmisazione, il sistema tetragramma, la notazione cifrata di Chevé (Méthode élémentaire de musique vocale, musique en chiffres, 1850) e Ward (Il metodo Ward per l’educazione musicale – LIM 2016), la notazione con lettere di Kodály (Metodo corale) ecc… e non dimentichiamoci che scrittura e tecniche di lettura sono sempre interconnesse a più contesti e sono funzionali al raggiungimento dell’obiettivo di conservare, recuperare e divulgare un qualcosa, nello specifico, il fatto musicale (per “fatto musicale” si intende semplicemente il brano musicale in senso stretto).
Inoltre, la scrittura (letto-scrittura) musicale è ancor oggi in via di trasformazione e risente delle proposte grafiche introdotte da molteplici compositori già a partire dalla seconda metà del ‘900:
Non dimentichiamoci dell’evoluzione (o involuzione) della didattica musicale, che ha posto il “veto” rispetto a certe pratiche a favore di altre, senza risolvere il problema della letto-scrittura musicale, soprattutto oggi in cui l’inclusione è l’espressione magica utile – anche nel settore AFAM – a evitare una profonda riflessione e revisione delle metodologie e degli approcci didattici a favore della semplificazione e riduzione del carico di lavoro. Perché, purtroppo, anche in linea con le disposizioni ministeriali rispetto alle misure da adottare in presenza di studenti con disturbi specifici di apprendimento o disabilità, anziché porsi il problema del “come e cosa fare per raggiungere gli obiettivi formativi”, spesso si dirotta verso il più pratico e comodo “tolgo dal programma/faccio fare meno”…
Ma allora, esiste un sistema di letto-scrittura inclusivo?
Ci spiace dirlo ma a nostro avviso non esiste! Occorre invece concentrarsi sul principio di accessibilità dei codici e della loro capacità associativa rispetto al fatto musicale.
A questo punto è venuto il momento di introdurre lo “spelling musicale”, ossia l’abilità di enunciare una “parola” lettera per lettera, esattamente come accade nel solfeggio parlato. Infatti, il solfeggio parlato altro non è che la pratica dello spelling esteso a un intero brano. Esercizio utile se riportato a una dimensione controllabile dallo studente.
Traslando in campo musicale il principio di enunciazione lettera per lettera e, in particolare, all’interno del sistema sino a oggi universalmente utilizzato, il pentagramma, cercheremo di tracciare una possibile applicazione dello spelling, non solo ai fini dello svolgimento del “solfeggio”, ma piuttosto come strumento di potenziamento delle abilità di riconoscimento di “grafo-lemmi”, termine con il qualesi designa la rappresentazione grafica di un’espressione musicale cui si associa una precisa operazione esecutiva, e di cui la scrittura musicale è un valido esempio.
Prima di affrontare l’argomento, dobbiamo domandarci: quali sono, o possono essere, le “parole” espresse attraverso la notazione musicale?
Anche se quanto si affermerà in seguito potrà suggerire mille opinabili interpretazioni, in estrema sintesi, tutto ciò che è riconducibile a una linea (scala) ascendente o discendente o a una struttura in arpeggio (accordo) può essere considerata “parola” che viene espressa in una forma grafica, il “grafo- lemma” (che è anche una struttura accordale).
Pronunciare correttamente la “parola” consente allo studente di affinare la (1) capacità visuo-identificativa (discriminazione visiva selettiva) e di potenziare (2) l’abilità di replicazione (recupero mnestico) del “grafo–lemma” stesso anche in altri contesti:
Il principio di “imparare ad imparare” diviene così l’indispensabile base attraverso la quale costruire un “metodo di apprendimento personalizzato” che, in presenza di un disturbo, assume e assolve pienamente alla funzione di primo strumento compensativo individualizzato (L. Chiappetta Cajola – M. Traverseti, Metodo di studio e DSA – Strategie didattiche inclusive, ed. Carocci Faber, 2020).
Ma come entra in gioco lo spelling in una pratica di potenziamento delle abilità di lettura?
L’abilità di enunciare i singoli elementi di un grafo-lemma consente allo studente di ottenere due principali benefici. Il primo è controllare l’articolazione (abilità di scandire i singoli elementi); il secondo è meccanizzarne l’esecuzione, anche con moto rapido (abilità di governare l’articolazione).
Attraverso la pratica dello spelling, lo studente potrà così fissare i “mattoncini” di ogni singolo grafo-lemma in modo sempre più sicuro e preciso impiegando sempre meno tempo nel recupero dell’informazione grafo-lessicale, anche in contesti diversi (potremmo scomodare il Transfert quale modalità di “trasferimento di un’informazione” che aiuta l’apprendimento di nuove acquisizioni quando altre si siano già verificate, in modo particolare se strutturalmente simili).
Applicando lo spelling a semplici strutture e, successivamente, alzando il livello di difficoltà, anche semplicemente aumentando la velocità di esecuzione, si promuoverà l’incremento del livello di attenzione dello studente verso una precisa letto-scansione dei grafo-lemmi stessi. La pratica della ripetizione a incremento di velocità, infatti, favorisce la meccanizzazione di movimenti articolatori sia verbali che fisici (per esempio, il movimento rapido delle dita sulla tastiera o lo scioglilingua).
Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’espressione “doremifasol” non ha alcun significato né nella lingua italiana né in nessun’altra lingua parlata o scritta, ed essendo priva di significato, oltre che non collegata a uno specifico oggetto concreto, se non quello musicale (ma anche qui ci dovremmo chiedere, quale) questa “non parola” dovrà essere necessariamente collocata tra quelle nonsense (il nonsense si trova in letteratura in una varietà di forme e di opere come filastrocche, romanzi, ecc., mentre in musica trova la sua massima espressione nell’attività del solfeggio – parlato – sillabico poiché la coincidenza tra significante e significato all’interno del segno – grafo-lemma – è spesso molto fragile, se non del tutto assente).
Infatti, pronunciare “doremifasol” può solo richiamare, a chi conosce il codice musicale, una successione di cinque suoni ascendenti (forse appartenenti a una struttura maggiore, se suonata o cantata?).
Per questo motivo lo spelling assolve al solo compito di strumento utile per scandire/scansionare – o trasformare, se preferite – un segno grafico (grafo-lemma) espresso attraverso la notazione musicale, in espressione orale (in dizione) e successivamente in fatto musicale, ovvero, suonato o cantato:
Lo spelling guida lo studente nel difficile compito di scomposizione di un oggetto grafico nei suoi singoli elementi, consentendogli al contempo di focalizzare l’attenzione da un lato, sulla forma grafica (ciò che vedo sullo spartito) e dall’altro, sulla sua successiva articolazione (ciò che dico/pronuncio, è ciò che suono o canto).
La pratica della lettura sillabica non solo favorisce il potenziamento delle capacità di decrittare un brano musicale, ma si pone come strumento prodromo alla realizzazione del contenuto musicale attraverso il proprio strumento, la propria voce o semplicemente per una lettura musicale consapevole.