ALFREDO RAGLIO. LA MUSICOTERAPIA IN ITALIA TRA FORMAZIONE, PROFESSIONE E RICERCA

di Antonella Zenga

Musicotarapeuta (Mt), ricercatore, responsabile del laboratorio di ricerca in MT l’IRCCS Maugeri di Pavia, Alfredo Raglio è anche docente e coordinatore scientifico e didattico del Master in MT presso l’Università di Pavia e del Biennio ordinamentale in “Teorie e Tecniche in Musicoterapia” del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative in ambito musicoterapeutico, Alfredo Raglio è fra i ricercatori in MT più autorevoli in Italia.

MusicEdu La MT in Italia sta attraversando una fase di sviluppo e di maggiore riconoscimento anche sul piano istituzionale. Qual è il tuo punto di vista a riguardo?
Alfredo Raglio Quando ho iniziato a occuparmi di musicoterapia agli inizi degli anni Novanta, di MT a livello professionale non si parlava proprio. La MT portava con sé un background pedagogico. Le prime esperienze formative nascono infatti da un dialogo con la pedagogia musicale, sia in ambito nazionale che internazionale. La presenza di Rolando Omar Benenzon in Italia ha introdotto un’importante svolta della disciplina ispirata alla componente relazionale, in linea con quanto accadeva nell’ambito internazionale (si pensi ai modelli definiti nel 1999 dalla World Federation of Music Therapy). Questo imprinting ha connotato la disciplina ma al tempo stesso ha limitato inizialmente il suo sviluppo a livello scientifico orientando la ricerca in senso prevalentemente qualitativo. Negli anni a seguire si assistito a una notevole evoluzione della disciplina in ogni direzione e il contributo della medicina (dato dall’aumento e della istituzionalizzazione della musicoterapia) e delle neuroscienze ne ha permesso lo sviluppo dal punto di vista scientifico. Attualmente, utilizzando il termine “music therapy” nei principali motori di ricerca di ambito scientifico compaiono migliaia di studi riferibili a svariati contesti applicativi.

MusicEdu In questo panorama così embrionale, come è iniziato e si è sviluppato il tuo interesse per la ricerca in MT?
Alfredo Raglio Nella mia esperienza personale ha contato molto il rapporto con alcune istituzioni che si occupavano di ricerca. Mi riferisco a quelle istituzioni che ancora oggi si chiamano I.R.C.C.S. ovvero gli istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico. In particolare, la mia esperienza in tal senso è inziata presso l’istituto Fatebenefratelli di Brescia dove avevo avuto modo di confrontarmi con alcuni ricercatori in ambito psichiatrico e neurologico. Questo ha certamente favorito l’impostazione di una forma mentis, che evidentemente già allora mi apparteneva e che mi ha spinto in altre direzioni rispetto all’approccio benenzoniano nel quale da tempo mi riconoscevo. 

MusicEdu In che termini l’ambito professionale ha influito sulla scelta di cercare un approccio musicoterapeutico diverso? 
Alfredo Raglio L’esigenza è nata soprattutto sul campo. Ero chiamato quotidianamente a documentare ciò che facevo cercando di porre in evidenza gli esiti degli interventi, cercando di rendere più chiaro ed esplicito cosa fosse la MT. Nonostante tutto ciò sia iniziato in modo artigianale e pionieristico, questo sforzo mi ha aperto la strada verso una dimensione più scientifica e accademica della musicoterapia. Per cui, dopo il IX Congresso di Washington del 1999 (a cui ho partecipato rappresentando l’ambito della ricerca nel modello benenzoniano) e dopo il conseguimento del Magister nel modello Benenzon, ha avuto inizio la svolta scientifica nel mio percorso professionale. Così nei primi anni del Duemila ho avviato i primi studi, supportarti anche dalla parte accademica, con lo scopo di comprendere ciò che accadeva durante una seduta di MT. Con un primo team di lavoro ho creato alcuni strumenti di osservazione e valutazione delle sedute di MT e sono nate le prime pubblicazioni su riviste internazionali, a cui sono seguite molte altre esperienze di ricerca rincorrendo chi mostrava interesse verso la MT. Ho cercato di sviluppare tematiche di mio interesse, ma naturalmente era fondamentale che fossero di interesse anche per l’istituzione in cui svolgevo la mia attività professionale e che aveva mostrato la giusta sensibilità nei confronti dell’approccio scientifico alla  MT. Agli inizi degli anni 2000 è iniziato un capitolo importante della ricerca relativa all’utilizzo della musicoterapia nell’ambito delle demenze, ma anche in quello neurologico. Successivamente è arrivato l’interesse per argomenti più orientati al futuro, per esempio sulla possibilità di utilizzare l’intelligenza artificiale e la tecnologia in MT.

MusicEdu Nella MT convivono due punti di vista: uno è quello che vuole dare una risposta scientifica a ogni tipo di relazione umana con l’universo e l’altro, viceversa, che parte da motivazioni universali e le giustifica per il solo fatto che si sentono a livello percettivo. Nel tuo lavoro hai trovato che ci siano degli elementi nell’ambito della relazione, all’interno di un percorso di MT, che non sono giustificabili su un piano scientifico? E il tuo lavoro è mirato a cercare di dare risposta a questi elementi che ancora non hanno una risposta scientifica?
Alfredo Raglio Quando fai ricerca in ambito accademico devi rispondere prioritariamente ad alcuni quesiti, tra cui quello riferito agli effetti terapeutico-riabilitativi dei vari approcci musicoterapeutici. Potremmo dire che l’interesse viene convogliato su queste tematiche, tenendo conto che è difficile pensare di fare una ricerca con obiettivi troppo ampi. Tanto più il quesito di ricerca è circostanziato e preciso, tanto più una ricerca è pulita e chiara, tanto più riesce a dare una risposta, seppure parziale. È bene sottolineare che la ricerca prova a rispondere ai quesiti, però non produce verità assolute. Per un ricercatore è normale pensare che non ci siano risposte definitive o comunque che l’orizzonte è molto più ampio di quello che viene dimostrato. Dunque, per tornare alla domanda, quello che dici tu è sicuramente molto presente, diciamo che per alcuni elementi in particolare, è anche molto difficile produrre delle prove scientifiche. Nella pratica musicoterapeutica vi sono aspetti di imponderabilità, a vari livelli, che non sono così facilmente indagabili. Probabilmente è più opportuno e proficuo accettare questo concentrandosi su ciò che al contrario può essere documentato adeguatamente dal punto di vista scientifico. Nell’ambito delle scienze umane e sociali rimangono pertanto aree oscure, non spiegabili con i principi della scienza, proprio perché relativi all’unicità della persona o della situazione. Inoltre la musicoterapia Quindi quando vai ad approfondire un quesito con una modalità compatibile con la scienza, devi essere consapevole che qualcosa è indagabile e qualcosa no, utilizzi modalità che sono le più scientifiche possibili, ma non è detto che possano rispondere a tutti i quesiti, né tantomeno lo possono fare con un massimo livello di scientificità. Per quanto riguarda l’aspetto musicale in MT, sono talmente tante le variabili che entrano in gioco in un percorso terapeutico, che è impossibile controllare tutto ciò che accade; qualcosa sempre sfugge (fortunatamente!).

MusicEdu E quando qualcosa sfugge, la escludi nel tuo approccio scientifico o la metti da parte, consapevole che quell’elemento avrà bisogno di un approccio differente?
Alfredo Raglio Generalmente quando si fa ricerca si prova a non nascondere nulla. Quindi in una fase ermeneutica della ricerca può accadere di dover parlare di ciò che non hai potuto valutare o che non ha raggiunto un livello soddisfacente di evidenza. Quindi poni questi elementi come aspetti sospesi che potrebbero avere un nesso con quello che accade, pur non essendo stati sufficientemente indagati, vuoi perché la natura dello studio non lo richiedeva oppure perché, come capita, non è possibile. In molti casi nell’ambito della ricerca dove solitamente ci sono più gruppi e più studiosi che lavorano su uno stesso tema, accade che dalla condivisione di intenti possano derivare più risultati. La condivisione facilita il confronto e la crescita. Purtroppo, in Italia questo ancora non accade perché poche persone si dedicano alla ricerca in questo ambito, anche perché bisogna entrare in una logica per certi aspetti ancora lontana dalla MT.

MusicEdu Al di là della difficoltà oggettiva di muoversi secondo determinati principi e della complessità della stessa musica, che pone molte variabili, c’è oggi da parte del mondo scientifico la disponibilità ad accettare la MT senza pregiudizi?
Alfredo Raglio Intanto c’è da dire che c’è una certa eterogeneità sul territorio che riflette anche lo stato della formazione in MT. La componente formativa accademica in Italia non è ancora a un livello tale da consentire ai musicoterapeuti di interfacciarsi con ambito scientifico in modo disinvolto. Si devono maturare una serie di competenze per poter interagire all’interno di un gruppo di ricerca. D’altro canto in ambito accademico spesso non è noto cosa sia la musicoterapia e quali siano le evidenze scientiche prodotte. Spesso non si conosce a fondo la letteratura, né quelle che sono le potenzialità degli approcci terapeutici con la musica. Attualmente lavoro in un ambiente sensibilizzato (sono responsabile del Laboratorio di Ricerca in Musicoterapia dell’IRCCS Maugeri di Pavia, unico laboratorio di MT in Italia nel contesto di un IRCCS) in cui altri colleghi di altri laboratori mi chiedono di collaborare, ma perché c’è stato un lavoro a monte che li ha stimolati e incuriositi, indirizzandoli in questo senso. Rimane poi la difficoltà oggettiva di organizzare un progetto di ricerca, difficoltà organizzativa accompagnata ovviamente da quella di natura economica. È inconcepibile fare ricerca senza un supporto economico, ed è un problema che continua a riguardare un po’ tutta la ricerca in Italia, non solo quella in MT. I finanziamenti e le risorse sono limitati nonostante l’elevata quantità di ricerche realizzate nel nostro Paese. In uno dei meeting che abbiamo organizzato l’anno scorso sulla ricerca in Italia, ho scoperto che in realtà il nostro Paese occupa un posto di rilievo nella ricerca in MT. Questo può lasciare un po’ stupiti, ma in effetti ci sono tante piccole realtà che hanno contribuito a svilupparla, sebbene in modo puntiforme. Gli studi fatti sono numerosi, ma sono disomogenei, perché non c’è una vera rete operativa e c’è molta confusione, a cominciare dalla definizione e dall’utilizzo del termine MT. Insomma, c’è ancora strada da fare, anche rispetto ad aspetti definitori che andrebbero ripresi alla luce di nuovi orizzonti. La MT del Congresso di Washington del 1999, che è stato il tentativo di dare forma alla disciplina attraverso la definizione e il riconoscimento di cinque modelli, non rappresenta più la MT di oggi che è progredita in varie direzioni. Bisognerebbe entrare in una logica che vada a ridefinire e rimodulare tutti quegli interventi che attualmente si svolgono in ambito clinico con la musica. Da questo punto di vista abbiamo una responsabilità verso la MT nonostante i progressi fatti grazie alla nascita del piano ordinamentale dei Conservatori.

MusicEdu Mi sembra interessante la considerazione fatta sulla formazione che, a percorso concluso, sia l’unica in grado di dare quel riconoscimento necessario per parlare alla pari con “dottori” di altre discipline che si occupano di cura e di ricerca.
Alfredo Raglio Sì, la formazione è fondamentale, ma lo è soprattutto riferita alla ricerca. Il fatto di aver frequentato e concluso un dottorato di ricerca (per scelta un Dottorato in Scienze Biomediche naturalmente centrato sulla ricerca musicoterapeutica), per me è stato estremamente importante, ma sono riuscito a farlo perché avevo già un’esperienza da ricercatore. Oggi non è cosa banale frequentare un dottorato di ricerca con un focus musicoterapeutico in una Facoltà di Medicina o di Psicologia, ma fortunatamente stanno con l’introduzione del titolo accademico in musicoterapia questo sarà possibile anche all’interno dei Conservatori. In generale, quello della ricerca in MT è ancora un ambito marginalizzato, un po’ sconosciuto e ancora poco solido. 

MusicEdu L’istituzione del Biennio di II livello presso alcuni Conservatori, che ruolo può avere da questo punto di vista?
Alfredo Raglio L’auspicio è appunto che dal Biennio si possano sviluppare dei dottorati di ricerca in MT. L’istituzione del Biennio di II livello è stato senz’altro fondamentale; tuttavia, credo che sia l’unica disciplina che preveda un percorso istituzionale di II livello senza aver sviluppato un primo livello di accesso. La cosa è bizzarra perché la materia da sviluppare è vasta e sarebbe stato più lineare definire prima un triennio, come avviene per tanti percorsi di laurea in altre discipline. Un biennio restringe la possibilità di approfondire la materia, sebbene sia previsto un percorso propedeutico di accesso (48 CFA) quasi l’equivalente di un anno accademico. Il Biennio offre una formazione significativa (con la partnership dell’Università prevista dal D.M. per quanto riguarda le discipline di ambito psicologico e medico) ma generale, senza la possibilità di entrare nello specifico dei singoli ambiti applicativi. Detto questo, è evidente che prima di arrivare alla ricerca c’è ancora molto da fare a livello formativo. C’è ancora uno scarto, che potrà essere colmato dal percorso di dottorato, ma bisognerà capire quale sia la possibilità reale di creare un percorso di dottorato nei Conservatori. 

MusicEdu Da questo punto di vista com’è la situazione fuori dall’Italia? 
Alfredo Raglio Negli altri Paesi questo discorso è già avviato, con alcuni punti di forza e altri di debolezza, a seconda delle varie e particolari situazioni. Ci sono Paesi che hanno una vocazione più scientifica e altri meno, ma i dottorati sono già presenti perché già da tempo esiste una formazione accademica di I e II livello. Diciamo che c’è un’organizzazione di base un po’ più consistente, non necessariamente nei contenuti, ma sicuramente nelle tematiche e nei tempi di sviluppo, certamente più ampi rispetto a quelli offerti all’interno di un biennio.

MusicEdu Volendo fornire un’informazione aggiornata ai nostri lettori e una prospettiva a cui guardare, quali prospettive per il futuro sono in discussione con il Ministero dopo il biennio? 
Alfredo Raglio Ci sono due aspetti separati. Il primo riguarda la formazione, il secondo la professione. Non dimentichiamo che noi abbiamo un altro importante tassello da mettere che è il riconoscimento della professione nell’ambito della cura. Il fatto che esista un biennio accademico istituzionale non ha come riflesso immediato che la MT venga riconosciuta in tal senso, ma potrebbe diventare il volano che può condurre la formazione verso la ricerca e implementare le esperienze sul campo, innescando un circolo virtuoso. Una delle ragioni per cui la ricerca non è così diffusa è anche perché la stessa MT non ha ancora raggiunto un pieno riconoscimento sul piano applicativo. Quanti professionisti della musicoterapia esistono in Italia? Nessuno è riuscito a fare una fotografia della situazione sul territorio. Naturalmente stiamo parlando di persone per cui la MT è l’attività prevalente, la professione. Continuano a prevalere situazioni in cui la musicoterapia risulta essere un’attività complementare rispetto a una professione principale.

MusicEdu Cosa si può dire per fare chiarezza sulla professione del Mt ? Questa figura professionale a volte risulta ambigua per i non addetti ai lavori e non solo.
Alfredo Raglio Attualmente in Italia la professione del Mt è riconosciuta come professione intellettuale. Questa è una condizione abbastanza restrittiva perché impedisce di poter lavorare con un riconoscimento effettivo soprattutto nell’ambito sanitario che dovrebbe essere quello elettivo, dove la MT potrebbe trovare molti sbocchi. È vero che ci sono anche molti luoghi in cui la MT può intervenire sul piano sociale, ma i luoghi  principali della cura sono quelli del contesto sanitario e con questo non intendo solo gli ospedali. Per molteplici ragioni, anche comprensibili, soprattutto in relazione alla tipologia dei percorsi formativi, ci sono state molte resistenze sul riconoscimento della MT in ambito sanitario. La conseguenza ovvia è che il nostro campo d’azione è molto ristretto e questo va a discapito dello stesso riconoscimento sul piano professionale e, naturalmente, della ricerca. Io ho vissuto in prima persona esperienze come la nascita di associazioni o i tentativi di aggregare realtà e persone per lavorare in questa direzione, però non sempre è stata portata avanti un’idea che fosse agganciata alla realtà della pratica professionale e ai suoi sviluppi. In questo quadro, la ricerca è stata penalizzata, anche se ci sono stati significativi passi avanti rispetto alle origini. Certamente è un importante progresso il fatto che esistano associazioni professionali che basandosi su specifici criteri di appartenenza e permanenza, individuano professionisti qualificati. Personalmente ritengo però che bisognerebbe fare un ulteriore passo avanti e dirsi quali devono essere questi percorsi formativi e qual è il futuro della pratica della MT in Italia e con essa il futuro della ricerca. La ricerca è un tassello che si mette dopo, perchè se non c’è una pratica  diffusa e riconosciuta, non può esserci ricerca: i due aspetti vanno di pari passo.

MusicEdu Se tu potessi fare una qualsiasi proposta per migliorare la situazione della MT in Italia, che cosa proporresti a questo punto della situazione?
Alfredo Raglio Secondo me la cosa più proficua in questo momento sarebbe quella di aprire un tavolo di discussione in ambito ministeriale soprattutto per quanto riguarda l’ambito del riconoscimento professionale e poi cercare di aprire un dialogo per attuare qualche aggiustamento sul percorso formativo attuale… tenendo però conto che il primo percorso nell’ambito accademico di II livello avviato nei Conservatori italiani si sta concludendo ora. Tuttavia, credo che bisognerebbe creare un tavolo permanente sui due argomenti cardine che sono quello della formazione e quello del riconoscimento pieno della disciplina. Coinvolgerei il Ministero della Salute, proprio per dialogare con le parti e parallelamente svilupperei una serie di possibili esperienze, interventi e proposte, favorendo il confronto reciproco fra gli attori. In questo modo si attuerebbe non solo un’iniziativa politica, ma un’operazione che avrebbe dei contenuti di una certa entità. Bisogna evitare di continuare a ragionare da soli, perché in questo modo si creano contrasti e conflitti, cosa che purtroppo nella MT si è verificata spesso e ha avuto una certa consistenza. Spesso ci sì è isolati coltivando ciascuno il proprio campo, mentre invece in questo momento sarebbe importante mettere insieme le esperienze. Ovvio che c’è anche una strada politica da percorrere ed è possibile che possa sfuggire al nostro controllo.

MusicEdu Abbiamo parlato di resistenze verso il riconoscimento del Mt come professionista sanitario. Ma ci sono state resistenze anche nei confronti dell’approvazione del D.M. con cui è stato istituito il biennio di II livello in MT nei Conservatori. A cosa sono imputabili queste resistenze secondo te? Potrebbero essere collegate al fatto che nel frattempo nulla è stato fatto per tutelare coloro che hanno maturato una lunga esperienza, anche ventennale, ma fondata su una formazione non istituzionale, che non si sa come inquadrare allo stato attuale?
Alfredo Raglio Penso che questa resistenza rispetto al Mt come figura sanitaria sia un retaggio dovuto al fatto che finché non c’è stato il titolo accademico, questa possibilità sarebbe stata preclusa praticamente a tutti. La presenza di un titolo accademico potrebbe essere percepita come in contrapposizione alle scuole private, invece sarebbe molto proficuo se fosse uno stimolo per la condivisione di certi temi. D’altra parte è qualcosa che abbiamo già visto in altre situazioni. Per esempio è accaduto per gli educatori professionali, gli infermieri e i terapisti della riabilitazione. Anche loro provengono da scuole professionali che poi si sono convertite in lauree triennali a indirizzo sanitario. Direi che non c’è tanto da fare una battaglia contro, ma piuttosto trovare delle convergenze per arrivare a una decisione ragionevole, così da dare la possibilità a chi ha un’esperienza acquisita nel tempo e un percorso formativo completato qualche anno fa, di convertire l’esperienza in un riconoscimento professionale, come è avvenuto per altri professionisti della sanità. Il mio auspicio è che si possano creare dei punti d’incontro come è avvenuto anche per altre professioni nei momenti di passaggio, accogliendo ciò che viene dai percorsi precedenti integrandoli con le nuove proposte, per favorire lo sviluppo di un bene comune.

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