ALBERTO ODONE. EAR TRAINING OLTRE LA TECNICA

di Francesco Sessa

Alberto Odone è docente di ear training presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e ha da poco dato alla luce il testo Ear Training Corso Base, stampato come Sonomusic in maniera indipendente. Di che cosa si tratta? Come avviene l’insegnamento nella pratica? Quali sono gli elementi innovativi? E i contenuti del volume? MusicEdu ha intervistato Odone per entrare nel profondo di un argomento variegato ed estremamente complesso.

Foto: Massimo Allegri

MusicEdu Partiamo dal concetto di “innovazione”, che può essere sintetizzato in adeguamento alla contemporaneità. Ovvero considerare l’utilità dell’ear training nella realtà attuale e le nuove modalità con cui occorre applicarlo rispetto alla tradizione.
Alberto Odone L’arco temporale da considerare è ampio, quando si parla di “tradizione”. L’Ottocento ci ha abituati all’idea del musicista esecutore: chi voleva ascoltare musica aveva bisogno di un esecutore che la suonasse. Daa diversi decenni non è più così perché, di fatto, il 99% della musica ascoltata è registrata. Ma la didattica fatica a entrare in questa logica: in ambito accademico si formano soprattutto esecutori, il che non è un male, soprattutto dal punto di vista umanistico. Infatti, non è che siccome si registra la musica, non ha più senso studiare uno strumento. Ma dal punto di vista professionale è limitante.

MusicEdu Potremmo dire che siamo passati dallo studio della musica come percorso d’eccellenza in chiave esecutiva orchestrale allo studio e alla pratica musicale come esperienza formativa a prescindere.
Alberto Odone Senza dubbio. L’importante è diversificare. Qualche secolo fa, un musicista aveva un raggio di abilità molto ampio, che non si limitava al riuscire a eseguire uno spartito. La formazione però si è un po’ fossilizzata su questa cosa, dimenticando altre competenze come la capacità di improvvisare o di accompagnare, abilità che abbiamo smesso di insegnare perché pensavamo che non servissero: tanto c’è il compositore che scrive! Se da un lato i mondi pop e jazz sono molto incentrati sull’improvvisazione, quello “classico” quasi non contempla il dover suonare qualcosa senza leggere uno spartito. In Conservatorio ci sono musicisti bravissimi a suonare che però sono in difficoltà quando devono elaborare qualcosa di proprio. L’uso della voce per uno strumentista, poi, è un tabù.

MusicEdu Quindi, quali sono gli obiettivi del tuo corso base di ear training?
Alberto Odone L’ear training non è pensato come una sorta di ginnastica artistica, il cui obiettivo è fare evoluzioni meravigliose, ma come capacità di usare l’orecchio, in quanto parte della mente, che è a sua volta parte della persona. Insomma, usare se stessi per fare musica come facciamo quando usiamo la nostra lingua ogni giorno. Che senso avrebbe recitare grandi poesie senza essere in grado di comunicare nell’uso quotidiano? In questo stesso modo dovremmo acquisire le nostre competenze musicali, perché di solito gli allievi sanno leggere e fare solfeggio, ma non hanno la capacità di utilizzare la musica come un linguaggio.

MusicEdu È perché ci si concentra troppo sulla teoria?
Alberto Odone Non penso sia mai troppa. Ha senso fare la distinzione teoria-pratica più avanti. Però, faccio un esempio: io parlo non perché conosco la grammatica, ma la conosco e quindi non parlo sgrammaticato. C’è una specie di grammatica innata. E lo stesso dovrebbe valere per la musica. 

MusicEdu Nell’insegnamento di oggi, si tende a unire teoria e pratica, un po’ per ottimizzare i tempi, ma anche perché attraverso la pratica si può comprendere meglio la teoria. Cosa ne pensi?
Alberto Odone Ultimamente utilizzo un concetto che trovo molto interessante: “playing theory”. Teoria suonando. Spesso, la cosa più efficace è mettere in atto quei modi di utilizzare uno strumento o una voce che sono ad alto tasso di conoscenza. Tornando al musicista esecutore, il tempo a disposizione veniva utilizzato per essere sempre più abile e sempre più veloce, tralasciando però aspetti teorici che sono implicati nelle attività e che non sono chiari sullo spartito. 

MusicEdu Ci dai una definizione di ear training?
Alberto Odone Ce ne sono due che ho tentato di superare. La prima è derivata dalla teoria classica, alla tedesca: metto le mani sulla tastiera e mi dici che note sono, riconoscendo gli intervalli. Ma è molto arida e poco musicale. A cosa mi serve, effettivamente? La seconda è quella della tradizione italiana del dettato melodico: ti do la nota, per eseguire una melodia con il susseguirsi di note negli intervalli. Ma non ti do l’idea del perché, non entriamo nel profondo di quali sono le funzioni armoniche che vengono coinvolte. Per me l’ear training è la possibilità di capire e comprendere l’essenza dei meccanismi. Il perché musicale. Una cosa che fatica a entrare è l’idea di pensiero funzionale. È comprendere la sintassi, se si vuole.  Anche se nella musica contemporanea non c’è sempre una sintassi dietro, anche se ci sono relazioni che hanno un senso.

MusicEdu In Conservatorio, il tuo corso è rivolto sia ai musicisti classici sia a quelli pop-rock?
Alberto Odone Separo i due gruppi, anche se per certi aspetti sarebbe anche molto utile metterli assieme. Chiaramente, non si possono insegnare le stesse cose a entrambi, ma i due corsi hanno comunque cose in comune, soprattutto dal punto di vista del repertorio. Potrebbe apparire un paradosso, ma il repertorio pop è molto importante per comprendere quello classico. Siccome il linguaggio popular è per definizione “popolare”, dice molte cose: certe strutture armoniche o ritmiche sono più immediate. Il repertorio è conosciuto e schematico, è chiaro da percepire. C’è una sorta di osmosi tra i due mondi.

MusicEdu Veniamo al concetto di “improvvisazione” all’interno dell’ear training.
Alberto Odone Dovrebbe essere il pane quotidiano. Esattamente come quando parliamo non limitandoci a leggere un testo, ma elaborando concetti attraverso un linguaggio. In questa mia proposta, tutto quello che si fa passa anche dall’improvvisazione. Per esempio, cerco di partire dalle cose più semplici ma complete, come melodie popolari basate solo su due accordi, primo e quinto, in cui è ridotta al minimo la dialettica tensione/distensione. Penso, per esempio, al brano “London Bridge is falling down” che ha il classico schema armonico (passaggio dal primo al quinto e ritorno) di molti brani popolari. L’idea base è appunto quella di “schema”, che nasce dalla psicologia dell’apprendimento, in cui la percezione funziona a schemi. Ne prendo uno e ci lavoro sopra, in modo da poterlo acquisire. Ci canto sopra una melodia e un basso, che nello schema primo/quinto è fatto di sole due note. Così inizio a capire come funziona. Poi ci metto le cosiddette linee guida, usando altre note. Proseguo poi cambiando schema magari aggiungendo un altro accordo e usando melodie diverse per cominciare a improvvisare anche ritmicamente, anche se uso sempre tonica e dominante. Il tutto procedendo passo dopo passo. L’idea di schema è venuta alla ribalta negli ultimi anni, ma è alla base di tutti i generi. È un vocabolario che può diventare composizione.

MusicEdu L’ear training lavora fondamentalmente sulla melodia.
Alberto Odone L’aspetto melodico nella maggior parte degli stili è sicuramente il più elaborato. Nello stile classico e nel pop il percorso armonico è minimale.

MusicEdu E la melodia è ciò che differenzia sviluppi armonici identici.
Alberto Odone Esatto. Per certi aspetti è la parte più difficile, ma l’approccio è reso più facile se si comprende qual è lo sviluppo tonale che ci sta sotto.

MusicEdu Soprattutto in ambito popular, l’invenzione della melodia deriva dalla capacità di sintetizzare competenze acquisite ascoltando altra musica. Soprattutto nel canto, è una pratica totalmente spontanea, nel jazz e nel blues per esempio. Un’analisi successiva, poi, può spiegarne le motivazioni teoriche, ma la creazione è inconsapevole. Come ti relazioni con cantanti dotati di questa spontaneità?
Alberto Odone Andrebbe aperto un discorso delicato in merito al “talento”. Si tratta di persone talentuose o che hanno un’esperienza tale da riuscire a restituire ciò che sanno in modo naturale? Io vedo che in loro nasce spesso l’esigenza o la curiosità di sapere quali strutture ci sono alla base di quello che fanno spontaneamente. C’è un interessante libro che si intitola How popular musicians learn, che ha indagato proprio sulle differenti storie di musicisti popular. Molti hanno iniziato a produrre spontaneamente e poi hanno fatto ricorso a lezioni, anche solo approfondire la tecnica. Poi ci sono tantissimi grandi musicisti che non hanno mai studiato la tecnica dello strumento. Il pericolo che leggo dietro alla tua domanda, perdere la spontaneità studiando, vale di più per i cantanti in ambito pop, dove magari si comincia con un approccio scolastico lavorando così tanto sulla tecnica da mettere da parte la spontaneità musicale.

MusicEdu Come è organizzato il tuo Ear Training Corso Base nella pratica?
Alberto Odone Per ora ci sono il corso base, l’intermedio e poi spero di pubblicare l’avanzato. Nel corso base il basso è sempre il basso fondamentale, cioè primo-quinto, poi primo-quarto-quinto ecc. in modod che l’aspetto armonico sia sempre prevedibile. Nella seconda parte si va molto più liberi e si fa ricorso a schemi storici, tipo il canone di Pachelbel, la follia o il basso di lamento, termini magari sconosciuti ma usati molto in ambito popular. Nel linguaggio anche basso può cominciare a cantare avviando così diversi percorsi, nei quali tutto questo viene restituito dal punto di vista improvvisativo. Il corso base è stato pensato come corso propedeutico, ma poiché quando arrivano i ragazzi al triennio non sono tutti preparati allo stesso livello, lo uso nei primi tre mesi del corso per colmare eventuali lacune. Ovviamente prevedo anche il dettato, ma sempre nell’ottica della comprensione. Il livello avanzato conterrà modulazioni, cambio di  tonalità e modalità, che non ho voluto anticipare perché l’idea è quella di acquisire gli elementi fondamentali di una lingua madre.

MusicEdu Dal punto di vista editoriale come hai deciso di arrivare all’autoproduzione?
Alberto Odone In mio passato editoriale ha visto collaborazioni con Ricordi, Curci e Mondadori, ma ora faccio da me, non perché non abbia avuto offerte, ma soprattutto per la gestione dell’utilizzo di musica registrata. Gli editori preferiscono produrre in proprio le tracce audio dei brani piuttosto che gestire accordi di utilizzo. E per quanto riguarda la distribuzione, con le piattaforme di e-commerce il problema non esiste più. Il corso base esiste sia in versione cartacea che elettronica, mentre il secondo è solo cartaceo, stampato direttamente in copia digitale da Amazon ogni volta che viene acquistato. Questo mi ha permesso anche di produrre velocemente il pdf di una seconda edizione corretta. Entrambi i volumi sono collegati a una piattaforma online, dove sono presenti tutti gli audio, insieme ad attività interattive progressive relative a ciascuna lezione con cui poter lavorare per conto proprio, anche se alcune attività richiedono il supporto dell’insegnante.

MusicEdu Quali sono stati i passi importanti del tuo percorso formativo e professionale?
Alberto Odone A metà anni Novanta ho seguito un corso a Kecskemét, in Ungheria, approfondendo il metodo Kodaly. Lì ho capito che si poteva fare didattica usando la musica e il repertorio, non gli esercizi, e dunque provando piacere nell’apprendere. Un’esperienza fondamentale è stata al Conservatorio di Como, quando per otto anni sono stato referente Erasmus: ho avuto modo di girare parecchio l’Europa e ho capito quanto sia importante avere un respiro internazionale. In generale, ho sempre cercato di seguire vie molto spesso non ancora battute, ma all’interno dei Conservatori, soprattutto nelle istituzioni più autorevoli, si fa molta fatica a condividerle.

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