CHE COS’È IL JAZZ. MUSICHE E STORIE RACCONTATE DA JAZZISTI ITALIANI

di Eloisa Manera

Il 30 aprile scorso, in occasione dell’International Jazz Day, si è tenuto un webinar dal titolo “Che cos’è il jazz? – Musiche e storie di Jazz” all’interno della sesta edizione del format INDIRE “Free… liberi di leggere” dedicato alla biblioteca scolastica innovativa e rivolto a docenti e dirigenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado.
Per tutti i dettagli relativi a protagonisti dell’organizzazione e all’elenco completo degli invitati rimando ai link riportati in calce all’articolo. Quello che segue è il breve resoconto di un lungo pomeriggio di interventi molto denso e stimolante. 

Henri Matisse, Icaro, dalla raccolta “Jazz”, 1946-1947, New York Metropolitan Museum

Ad ogni invitato è stato dedicato uno spazio in cui potesse parlare di jazz o con le parole o con le note del proprio strumento, oppure con entrambi i mezzi espressivi.
Presenti, fra gli altri, tre celebri trombettisti italiani: Enrico Rava, Paolo Fresu (i cui interventi sono stati mandati in differita tramite un video ad hoc pre-registrato) e Fabrizio Bosso. Solo due le defezioni rispetto al programma: Danilo Rea ed Enrico Intra, che dopo aver cercato in tutti i modi di collegarsi, è comunque riuscito a mandare i suoi saluti e a informare il pubblico delle sue ultime avventure (fra cui il testo Il mio studio sulle immagini, un lavoro di sintesi fra immagini e musica commissionato dal Conservatorio di Brescia). Da anni il Maestro Intra, grande musicista molto aperto e curioso, si dedica alla stesura di testi didattici sul jazz cercando di elaborare una nuova prospettiva svincolata dalla tradizione americana e più vicina alle radici nazionali.
Gli invitati hanno condiviso in parte la loro esperienza personale di incontro con il jazz e in parte lo sguardo su che cosa sia e significhi per loro questo genere musicale. Sono stati tutti interventi molto toccanti ed emozionanti: alcuni più incentrati sulla propria storia personale, altri più su una prospettiva più ad ampio raggio.
Raccogliendo le differenti voci si è creato un quadro che ha dipinto il jazz come una grande possibilità di libertà e di creazione di identità; un luogo musicale che permette la propria libera espressione. Daniele di Bonaventura ha posto l’accento sulla qualità dell’approccio implicito in questo genere, che permette appunto di essere se stessi. Diversi musicisti hanno sottolineato la grande dose di rischio che si apre improvvisando: non si hanno appigli certi. Nonostante lo studio possa offrire strumenti di orientamento, da un altro frangente si è privi di salvagente. L’altro importante e ricorrente ingrediente nelle descrizioni, è stato il concetto di relazione, che questa musica attiva in modo vincolante e fattivo. In questo mare di rischi non si è soli, ma ci si salva solo attraverso il fare musica insieme agli altri, tramite l’interplay e la dimensione del gioco, dell’invenzione tramite la condivisione e la dialettica estemporanea fra i musicisti. Ada Montellanico alla dimensione di dialogo comunicativo, ha aggiunto anche quella di rapporto fra gli artisti e il pubblico. In questa mescita di suoni è forte lo scambio di energia e di idee che si rifanno a una matrice (quella della Black Music come ha incalzato Dario Cecchini dei Funk Off) per poi trasformarsi in nuovi elementi compositivi nella nostra contemporaneità.

Gli interventi hanno scolpito il ritratto di questo genere come di un luogo paragonabile a un’utopia sociale in cui l’ascolto reciproco crea un microcosmo di democrazia dialogica e in cui la diversità diventa occasione di arricchimento inclusivo. Pasquale Mirra raccontando del suo progetto Musica in gioco legato a una didattica per bambini molto creativa e rispettosa della dimensione ludica dei piccoli ha rilanciato, insieme all’idea di utopia sociale, quella di sostenibilità ecologica attraverso la creazione di strumenti riciclati. Rita Marcotulli, oltre a inserirsi organicamente all’interno dei discorsi e delle tematiche trattate prima, ha aggiunto il concetto del ricercare continuo che questo ambito richiede e stimola costantemente.

Tre interventi in particolare hanno messo in luce aspetti di particolare interesse: quello del fotografo Pino Ninfa, del sassofonista/insegnante Alessandro Creola e del trombettista Paolo Fresu. 
Pino Ninfa ha raccontato del collegamento che la fotografia può avere con altre arti aprendo lo sguardo in modo molto poetico sul palcoscenico dei concerti, paragonato al palcoscenico della vita. Ha definito il jazz come un’arte che lega le persone, un modo di vivere; un andare incontro a un certo tipo di immaginario, che insegna la disponibilità all’ascolto. 
Alessandro Creola insieme a due suoi allievi (Emanuele Scalise e Nicolò Cadei) ha presentato un bellissimo progetto nato nel 2011 nel Liceo di Parma dove insegna, all’interno del quale ha creato, grazie a una lungimirante e aperta disponibilità del preside, una Swing Band (che dai 15 allievi del primo anno, ha raggiunto i 40 elementi) e nel 2019 una Combo Band più ridotta. Entrambi i progetti hanno molto successo e creano un collegamento trasversale che solidifica una trama aggregativa molto forte accomunando ragazzi che vanno dalla prima alla quinta e coinvolgendoli in modo naturale e spontaneo. Il progetto è aperto al territorio, in passato c’è stato un gemellaggio con il Coro Gospel di Parma ed entrambe le band hanno una entusiasmante attività concertistica fuori dalla scuola.
Ultimo ma non ultimo intervento quanto mai calzante è stato quello di Paolo Fresu, presente tramite un video pre-registrato. È stato infatti l’unico ad aver presentato libri, in un webinar intitolato Free… liberi di leggere. La sua introduzione è stata un invito a prendere in considerazione l’importanza del riflettere sulle motivazioni che spingono i musicisti di jazz a dedicarsi proprio a questo ambito specifico. Fresu ha sottolineato che tutte le musiche sono importantissime e ha raccontato dei suoi inizi in banda, poi nei complessi di musica leggera e della sua scoperta del jazz che aveva ascoltato alla radio. Sconvolto e affascinato dalla bellezza di quella musica, Fresu decide di dedicarsi al jazz. Da quel suono nuovo, così speciale e che lo aveva colpito in maniera indelebile, comincia il suo percorso. All’ascolto è seguita poi la lettura di alcuni libri importanti attorno al jazz, per primo Jazz – la vicenda e i protagonisti della musica afro-americana di Arrigo Polillo. Con l’immersione in questo mondo più letto da vicino (oltre che ascoltato), emerge la comprensione del fatto che il jazz è stata anche la musica del riscatto per gli afroamericani, la musica di una battaglia politica, sociale, che era la musica dei “perdenti”. Ha detto Paolo Fresu: “Mi sono detto: se questa musica mi piace, se questa musica è la musica dei perdenti e con questa musica si può fare una battaglia affinché la società sia migliore, io voglio suonare il jazz”. Interesse che si è allargato col tempo dall’ascolto dei trombettisti jazz, agli altri musicisti protagonisti di questa storia (Billie Holiday, Charlie Parker, Coltrane, Dizzie Gillespie, Bill Evans, Charles Mingus); scoprendo che ogni storia era una storia diversa ed estremamente affascinante, che valeva la pena di essere indagata, studiata e in qualche modo assorbita fino a voler dare il proprio contributo a quell’insieme di storie di vita e musicali. È seguita poi la condivisione di alcuni testi importanti come l’autobiografia di Duke Ellington, Jazz Hot – scritti sul jazz dal 1946 al 1956 di Boris Vian, e Musica per vivere di Franco Fayenz. Fresu ha concluso affermando che “la musica deve aiutare a vivere”, il jazz in particolare, capace di superare le grandi difficoltà come quelle di questo momento pandemico. I suoi concetti finali sono molto densi e condivisibili: ‘Il jazz è parte di un percorso musicale più ampio, che è quello che ognuno di noi deve fare, non pensando che una musica sia necessariamente migliore dell’altra, ma che tutte le musiche insieme siano fondamentali per la costruzione di un percorso laddove ognuna può insegnarci qualcosa di particolare. Bisogna ricordare ciò che diceva Duke Ellington, ovvero che esistono solo due musiche: quella buona e l’altra. Io sono convinto che noi si debba andare sempre di più in quella direzione“.

L’intervento di Fresu è terminato con il consiglio di un ultimo libro, Come funziona la musica di David Byrne: “La musica è una e la nostra capacità di viverla sta nella relazione e nella costruzione complessa di quelli che sono i vari plurilinguaggi che non sono solamente quelli della musica, ma anche quelli delle altre arti e degli altri linguaggi artistici che poi ci permettono di poter portare insieme a quello che noi vogliamo fare, veramente il nostro pensiero, la nostra vita. Il jazz non è solo libertà, non è solamente riscatto. Il jazz è soprattutto vita“. Queste sue belle parole si sono concluse con un augurio di buona vita a tutti a cui sono seguiti i saluti finali dei conduttori del webinar e il mio personale augurio di ritrovarci presto coi nostri corpi in luoghi fisici di vicinanza, visto che fra le varie innumerevoli e importanti cose dette durante questo intenso pomeriggio il jazz è anche corpo in movimento e dopo questa pandemia più che mai abbiamo bisogno di veri incontri per condividere bellezza.

Che cos’è il Jazz
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