APARTICLE. RIFLESSIONI SULLA RELAZIONE TRA ATTO CREATIVO E MEDIA
Il quartetto jazz-rock italiano degli Aparticle insieme al produttore Stefano Castagna (Ritmo&Blu Records) ha registrato la scorsa estate una nuova versione completamente analogica dell’ultimo cd The Glamour Action (2020, UR Records). Registrare su un multitraccia a nastro e mixare su banco analogico senza mai usare né computer né alcun altro dispositivo digitale, per poi riversare la sessione su nastro, su audiocassetta e, solo ad album completato, su formato digitale ad alta risoluzione, non è stata una semplice scelta strumentale, ma un’occasione per riflettere su quanto la tecnologia possa influenzare la produzione musicale; in questa prospettiva, i quattro musicisti (Cristiano Arcelli al sax, Michele Bonifati alla chitarra, Giulio Stermieri al Fender Rhodes ed Ermanno Baron alla batteria) hanno rielaborato il materiale di partenza adattandolo al contesto del formato analogico, con i suoi vincoli di durate e la possibilità di realizzare un continuum sonoro.
LE CONSEGUENZE DELLA SCELTA
“Gli interrogativi che ci siamo posti” raccontano gli Aparticle: “spaziavano dall’influenza del processo produttivo sugli aspetti formali e creativi fino al senso stesso del supporto in un’epoca di musica liquida. Abbiamo perciò pensato di estendere le nostre considerazioni a colleghi, critici, discografici e amici, per rendere questa nuova pubblicazione, a cui abbiamo dato il titolo The Glamour Tapes, un’occasione di riflessione più ampia e condivisa. A ciascuno di essi abbiamo posto una decina di domande per poi raccogliere organicamente i diversi contributi“.
Anzitutto, quando il supporto condiziona l’opera musicale? Su questo tema il musicologo Stefano Zenni annota: “Il supporto ha sempre condizionato la produzione artistica, da che mondo è mondo. Una tavola di legno o una tela, un 78 giri o un file digitale, una pergamena o un foglio di carta condizionano il contenuto, sempre. Sta all’artista confrontarsi con il supporto e capire se adattarcisi o utilizzarlo come occasione creativa”. Nello specifico della scelta di operare totalmente in analogico il produttore discografico Marco Valente ritiene che tale processo sia “molto affascinante soprattutto per i tempi e metodi di lavoro che ti costringono a pensare in maniera diversa”.
Il producer Jacopo Biffi aggiunge: “Il mezzo analogico […] pone dei paletti forse più rigidi, ma da paletti rigidi si ricavano fonti di ispirazione”.
Il clarinettista Marco Colonna rilancia: “Rinunciare ai metodi tecnologicamente assunti come ‘standard’ risulta essere una scelta evidentemente etica. Per cui rappresentano una possibile strada di eversione. Non so quanto incisiva, ma credo che ogni strada percorribile in tal senso vada intrapresa”.
Dello stesso avviso è il critico musicale Luca Canini, che completa la riflessione affermando: “Esiste un’infinita pluralità di approcci al fare e al veicolare musica in un panorama sempre più complesso e allo stesso tempo stimolante. Affidarsi totalmente all’analogico può essere uno di questi. Una sfida. Che va però raccontata e portata al pubblico. Giustificata, se mi passate il termine. Alla quale dare un ‘senso‘”.
Un altro interrogativo posto è quanto il supporto determini di fatto una selezione del pubblico. Questa la riflessione di Zenni: “In certe epoche il supporto ha rappresentato una forma di esclusione o inclusione del pubblico: pensiamo ai costi e all distribuzione inaccessibili della pergamena o alla facilità di gestione del prodotto stampato. Anche la diffusione di uno standard tecnologico può rappresentare un filtro o un’opportunità: si pensi ai formati digitali proprietari sui libri – una cosa esecrabile – o alla salutare portabilità dei file audio digitali”.
La sassofonista e musicista elettronica Laura Agnusdei legge la situazione odierna: “Fino a che il tuo disco sarà su YouTube non ti devi preoccupare; sei reperibile, qualsiasi cosa tu faccia. Quindi se allarghiamo il concetto di ‘supporto’ alla realtà digitale penso che in realtà il pubblico venga selezionato sì, ma fino a un certo punto, nel momento in cui si è in qualche modo reperibili online poco importa se poi il tuo disco sia uscito su vinile o su cassetta o CD”.
Il poeta e critico musicale Nazim Comunale riflette invece sull’aspetto anagrafico della relazione tra ascolto e supporto: “Streaming, ragazzi giovani e giovanissimi. Insegno alle superiori, i miei alunni ascoltano solo tramite le app e le piattaforme. Il supporto non esiste. Io sono un fan del cd per ragioni generazionali”.
Il musicista e docente Alberto Ricca (Bienoise) sposta la riflessione su un ulteriore piano suggerendo un’identità tra supporto scelto e contenuto dell’opera: “Mp3, cd, nastro magnetico, sono oggi contenuti dell’opera: neppure il medium è trasparente, e la stessa figura genera una sensazione diversa se scolpita nel marmo o nella plastica. Qualcuno ama la plastica, qualcun altro il marmo: se è cultura tutto ciò che implica una scelta, scegliere diventa un atto creativo, e la scelta deve essere radicale, coerente a ogni livello, per attirare chi può amarla. In questo modo le idee si diffondono, e diventano società”.
Tra le scelte possibili, Biffi riporta un esempio estremo rispetto al contenuto: “Se si lavora sul concetto di collectable allora è l’oggetto in sé ad avere importanza. Un mio collega quest’anno ha fatto un cd in un case che non si può aprire e che deve essere sbloccato con un’apposita chiave, e poi l’ha sigillato sottovuoto”.
Colonna mette tuttavia in guardia sui rischi della feticizzazione: “È vero che esistono sacche di mercato che si schierano a favore di un supporto piuttosto che un altro. Ma la selezione è nel loro ruolo di consumatori di oggetti, non di fruitori di opere artistiche”.
In conclusione, è il pensiero di Canini a rappresentare perfettamente anche quello di Aparticle: “Quello che conta davvero oggi, come ieri, è costruire una comunità attorno alla musica che si produce e si crea. E per comunità non intendo solo il pubblico, ma anche i musicisti, le persone che girano attorno alla musica e ai musicisti stessi, chi la suona e chi la registra, chi la distribuisce e chi la propone dal vivo. Se esiste una comunità ricettiva, se la musica che si suona e si mette su nastro, su vinile, su piattaforma digitale ha un senso che va oltre il semplice essere musica e che coinvolge la dimensione ‘sociale’, la vita, allora tutto diventa spunto e stimolo. Dall’audiocassetta al nastro, dall’alta qualità ai file gracchianti di improbabili live. Prendersi cura della musica che si fa, del contesto in cui nasce, della dimensione nella quale si muove, delle persone alle quali arriva, delle relazioni, è la cosa più importante”.