MUSICA E (È) CORPOREITÀ. DALLA TECNICA ALEXANDER ALL’EMBODIED EDUCATION
IMPARARE È UN’ESPERIENZA. TUTTO IL RESTO È SOLO INFORMAZIONE (ALBERT EINSTEIN)
Di Federica Felici *
Questo articolo prende le mosse dal workshop Musica e (è) corporeità tenutosi lo scorso 20 marzo presso Fiera Didacta Italia a Firenze, all’interno del programma di incontri “Progettare con il Suono“ allestito dalla Redazione di MusicEdu
Se state leggendo questo articolo è perché probabilmente siete musicisti (professionisti o amateurs) attivi nel mondo della comunicazione, dell’espressione di sé, dei suoni… o forse perché quell’accento posto nel titolo sulla lettera e (è) ha destato il vostro interesse per i diversi scenari e modi di concepire la formazione musicale questo accento può far intendere.
Come ci ricorda la neurofisiologa Carla Hannaford nel suo libro Smart moves: why learning is not all in your head (testo ancora estremamente attuale nonostante la sua prima pubblicazione americana risalga al 1995), il movimento è alla base dell’apprendimento. È infatti attraverso la parte dedicata al supporto scientifico presente nel volume, che espone il concetto della plasticità delle reti neurali, che invita tutti noi insegnanti a riconsiderare la propria personale visione pedagogica e le tradizionali modalità educative, curvandole o addirittura sovvertendole in favore di un insegnamento impostato sull’esperienza psicofisica.
In Italia, l’apprezzatissima professoressa Daniela Lucangeli ribadisce con competenza e passione, nei suoi innumerevoli scritti sull’argomento, un altro elemento chiave a fondamento del successo dell’azione pedagogica ovvero la centralità delle emozioni nell’educazione.
Penso di potermi ritenere fortunata ad aver sperimentato in anni di scuola e in prima persona, attraverso la ricerca e l’attuazione di strategie di comunicazione efficace con alunne e alunni con specifiche difficoltà e disabilità, quanto cruciale sia sviluppare approcci innovativi di insegnamento/apprendimento che prevedano l’integrazione delle varie componenti affettivo – emotive – corporee – relazionali.
LA MUSICA IN MOVIMENTO
Le ricerche nell’ambito delle neuroscienze ci confermano che in realtà è questa l’unica modalità che lascia una traccia profonda nella persona, nell’essere che vive e che si alimenta attraverso tali canali. È l’eco che rimane e che risuona dentro a ognuno di noi, nel presente come nel futuro ricordo, indelebile e tangibile, che emoziona ogni volta con la stessa intensità.
Mi sono interrogata spesso sul perché sto bene nel movimento e ho realizzato che interiorizzo le conoscenze e i saperi attraverso la globalità sensoriale; ho bisogno di attivare le mie cellule affinché le esperienze effettuate vengano assimilate. La musica è movimento e la corporeità il suo habitat naturale. Così come la vibrazione sonora e il gesto che induce; così come il suono che scorre creando una risposta motoria, generatrice di piacere. E tutto ciò procura appagamento, la gioia della scoperta di percezioni insolite e inattese, predisponendo a una diversa attitudine all’ascolto che determina una comprensione significativa e profonda dell’universo sonoro.
Per questo motivo sono rimasta affascinata dal Metodo che prende le mosse dalle intuizioni di Emile Jaques-Dalcroze (1865-1950), compositore e pedagogista ginevrino che prospettò, già all’inizio del secolo scorso, una modalità di apprendimento attraverso il movimento, in particolare dell’assimilazione di tutti gli elementi e i principi della musica attraverso la risposta corporea agli stimoli sonori. L’osservazione dei problemi ritmici dei suoi allievi di Conservatorio e la constatazione dell’inefficacia delle metodologie vigenti, gli fornirono l’occasione di ripensare radicalmente il suo impianto didattico. Fu così che iniziò, nel periodo d’oro della riflessione educativa (quel lasso di tempo che va dalla fine dell’Ottocento dello scorso millennio agli anni Cinquanta del XX secolo) a impostare l’insegnamento musicale in modo rivoluzionario teorizzando il modello dell’euritmia.
La ritmica, disciplina fondamentale di questo metodo, consiste nel mettere in relazione i movimenti naturali del corpo, il linguaggio musicale e le facoltà di immaginazione e riflessione.
Il lavoro teorico e pratico di Dalcroze su consapevolezza motoria, sfera emotiva e intenzione espressiva ha influito, nel corso del tempo, non solo sulla pedagogia musicale ma anche sulla danza e sulla coreografia. In equilibrio fra spazio, tempo ed energia, il corpo è un mezzo prezioso per vivere e per rappresentare aspetti espressivi e strutturali del linguaggio musicale e di illustrarne le molteplici applicazioni in campo sia educativo che performativo. Facoltà come la riflessione, la memoria, la concentrazione, la coordinazione, la propriocezione e la creatività vengono esercitate in modo armonioso.
Gli obiettivi conseguiti attraverso un approccio operativo che prevede sempre il coinvolgimento attivo e globale del partecipante e la centralità dell’interazione con l’altro sono in particolare:
– trovare il piacere di esprimersi con il corpo in sintonia con la musica
– sviluppare l’orecchio e acquisire una comprensione musicale globale e profonda
– affinare le capacità di percezione, attenzione, concentrazione, memorizzazione, interiorizzazione e rappresentazione degli elementi musicali attraverso il gesto e la propria persona
– sviluppare e affinare le capacità motorie e la consapevolezza corporea (coordinazione, equilibrio, reazione, dosaggio dell’energia, uso dello spazio, gestione del peso)
– sviluppare la personalità nella sua interezza (sfera cognitiva, affettiva, psicomotoria)
– educare le capacità creative e artistiche nella dimensione individuale e di gruppo
– collaborare e adeguarsi al gruppo, nel rispetto di sé e degli altri
In questa breve presentazione desidero illustrare anche un’altra disciplina che, in modo altrettanto sofisticato (e assolutamente innovativo per l’epoca) attinge agli stessi principi appena esposti, basandosi sulla percezione delle esperienze sensoriali come prospettiva di cambiamento e, direzione utile per noi insegnanti al giorno d’oggi, di inversione del diffuso paradigma pedagogico. La nostra cultura tende molto spesso a trascurare nell’educazione lo sviluppo della persona come unità psicofisica. L’uso inconsapevole di noi stessi nella vita quotidiana può creare problemi dovuti ad abitudini errate e condizionare le nostre prestazioni. Questo appare particolarmente evidente nei musicisti e in chiunque utilizzi il proprio corpo come strumento di comunicazione. Per poter utilizzare la propria persona come reale canale espressivo è necessario avere un alto grado di coordinazione e di consapevolezza che la Tecnica Alexander, in quanto tecnica di rieducazione posturale, permette di ricercare e ottenere. Questa trasformazione avviene attraverso indicazioni verbali ed esperienze pratiche guidate dall’insegnante che favoriscono l’espressione delle potenzialità individuali, la libertà del movimento e del respiro, migliorando pertanto la gestione di sé e le prestazioni musicali.
THE USE OF THE SELF
Con il concetto dell’Uso del sé l’attore australiano Frederick Matthias Alexander (1869-1955) proponeva, intorno ai primi anni del secolo scorso, un processo di ri-educazione psicofisica, basato sull’osservazione e sulla coscienza delle proprie abitudini posturali, mentali ed emotive, in relazione alla propria funzionalità e volte, di conseguenza, alla libera espressione del proprio essere.
Questo processo di cambiamento risulta particolarmente efficace per tutti coloro che sono impegnati nell’area della comunicazione artistica o educativa.
La pratica di questa disciplina prevede le seguenti attività:
– esplorazione e conoscenza del proprio corpo sia percettiva che teorica, il rilascio di tensioni indesiderate e l’abbandono di atteggiamenti dannosi
– osservazione dell’organizzazione e della coordinazione motoria in relazione alla voce e alla respirazione
– organizzazione delle forze muscolari equilibrata e vantaggiosa
– osservazione degli effetti psicofisici dello stress e proposte di strategie per affrontarli
– body mapping (percezione e individuazione del proprio schema corporeo)
Sono entrata in contatto con la Tecnica Alexander diversi anni fa quando ebbi una tendinite al braccio destro, quello che viene utilizzato dall’arco del violoncello, che mi avvicinò a questo mondo (il mondo dell’osservazione) fatto di curiosità, analisi, considerazione e rispetto per se stessi.
Ben presto imparai che il corpo ci parla, ricorda tutto e non mente mai. E che va ascoltato, sempre. Io credo che vada addirittura ringraziato perché, il più delle volte, mettendoci in contatto con delle difficoltà, ci offre l’opportunità di riflettere sulle nostre debolezze. Da allora mi sono appassionata a questa disciplina captando fin da subito l’enorme portata del suo approccio sia educativo sia preventivo alla salute personale. Ne ho mutuato il modo di impostare l’insegnamento che, in primo luogo, riguarda il rapporto che abbiamo con noi stessi, spronandoci ad attivare tutte quelle risorse interiori indispensabili per divenire agenti di cambiamento.
Con queste sollecitazioni ho cercato di stimolare in voi il desiderio di esplorare questo ambito così interessante che viene definito “dell’Educazione incarnata” (Embodied Education) che, fortunatamente anche in Italia, sta iniziando a muovere i suoi primi passi anche negli ambienti accademici.
*Federica Felici (www.federicafelici.com) è diplomata in violoncello e Tecnica Alexander. Esperta di musica e movimento, è certificata nella Ritmica Dalcroze. È insegnante di sostegno, Tutor per l’apprendimento e Referente per l’inclusione presso l’I.C. “Le Cure” di Firenze.