LA FORMAZIONE CONTINUA… FORMAZIONE DIDATTICO-MUSICALE TRA QUANTITÀ E QUALITÀ
di Lorella Perugia
Nell’attuale contesto della formazione degli insegnanti nel campo didattico-musicale si nota una proliferazione crescente di seminari, corsi online e video-lezioni, sempre più spesso offerti da formatori di dubbia esperienza e caratterizzati perciò da una qualità discutibile. In questo contesto, emerge con urgenza la necessità di una profonda riflessione da parte di formatori e utenti.
Sul panorama formativo di questi ultimi anni si stanno interrogando per esempio le associazioni del Forum Nazionale per l’Educazione Musicale che ne osservano gli sviluppi con crescente preoccupazione, proprio perché la produzione agevole e poco dispendiosa di corsi online e video lezioni, unita alla facilità di diffusione e promozione degli stessi, se da un lato ha ampliato le opportunità formative, dall’altro ha permesso a formatori poco competenti di emergere con facilità, presentandosi come esperti.
È sempre più frequente imbattersi in corsi e proposte formative che promuovono metodologie “innovative” ma che in realtà si concentrano sulla fornitura di materiali didattici del tutto standardizzati, che offrono step di apprendimento spesso superati e fortemente rigidi. Questi corsi non mirano ad ampliare le competenze pedagogiche e musicali di insegnanti con poche conoscenze di base, né sono in grado di stimolare i docenti più esperti. Piuttosto, si limitano a offrire attività pronte all’uso, certo allettanti, ma prive di approcci efficaci e poco adattabili alle reali esigenze dei discenti nei diversi contesti o nel rispetto dei loro diversi potenziali. Sono proposte che utilizzano sovente materiali musicali orientati più ad agevolare e assecondare le preferenze degli insegnanti da formare, piuttosto che rispondere agli effettivi bisogni degli studenti.
Queste proposte inoltre nascono per lo più da esperienze di singoli individui e sono prive di quel confronto e arricchimento reciproco che da sempre caratterizza le realtà associative, molte delle quali attive da decenni.
Questo è uno dei motivi che causa il ritorno a galla di modalità didattiche che le associazioni più all’avanguardia si sono impegnate per anni a disincentivare, come gli approcci didattici che tornano a privilegiare la lettura e la scrittura musicale anche nella scuola dell’infanzia e primaria, spesso considerato come obiettivo cardine dell’educazione musicale, a discapito di una formazione più integrata, multisensoriale ed esperienziale. Si riscontra inoltre sempre più diffusamente una confusione tra “educazione” e “animazione” musicale, che rischia di compromettere fortemente la qualità dell’insegnamento.
L’elemento più allarmante di questo fiorire di iniziative è che, indipendentemente dalla loro qualità, queste proposte si fregiano dell’accreditamento da parte del Ministero dell’istruzione e del Merito, rendendo così più difficile riconoscere le esperienze valide da quelle meno o per nulla educative. Sorgono spontanee alcune domande: i criteri per l’assegnazione dell’accreditamento quanto tengono conto dei contenuti delle proposte didattiche? Chi si occupa di concedere l’accreditamento e quali competenze possiede in campo didattico-musicale?
L’educazione musicale viene ancora troppo sovente interpretata in modo limitante, fine a se stessa, senza che ne sia sfruttato pienamente il potenziale educativo che la scienza attribuisce già da tempo alla disciplina. Gli approcci educativi più diffusi sono infatti ancora fondamentalmente di due tipologie opposte ma entrambi poco efficaci, se non dannose: da un alto si tende a proporre la musica come attività ricreativa e distensiva facendo cantare o muovere i bambini su basi e video senza ragionare sugli obiettivi di apprendimento a breve e lungo termine e senza calibrare la scelta del repertorio; dall’altro ci si concentra sulla teoria musicale di matrice conservatoriale e su una pratica per lo più strumentale di “vecchio stampo” che, lasciando poco spazio a espressività e creatività, allontana gli studenti che non corrispondono agli stereotipi del bambino o ragazzino “talentuoso”, anche se potrebbero di gran lunga beneficiare dell’esposizione alla musica e alla sua pratica.
Entrambi questi approcci trascurano il ruolo fondamentale che la musica possiede per lo sviluppo cognitivo, emotivo, sociale e motorio degli studenti. Un ruolo promosso da pochissimi insegnanti illuminati (e correttamente formati), da percorsi di ricerca in qualche rara facoltà universitaria e ancor più rari conservatori, ma soprattutto da tutte quelle realtà associative storiche che hanno creduto e si sono dedicate per prime alla didattica-musicale e che continuano ad approfondire modalità didattiche valide e ragionate attraverso una pratica quotidiana nei molteplici contesti in cui si trovano ad operare: vantaggio da non trascurare in un mondo in cui la formazione istituzionale è fatta di sola teoria.
Per fortuna la musica riesce a fare tanto anche da sola, senza bisogno di mediatori, e questo è ciò che ha garantito e garantisce comunque ad alcuni bambini ricettivi di beneficiarne. Ma se venisse proposta nel modo corretto e più diffusamente, potrebbe fare decisamente di più e sviluppare a livello globale la crescita di tutti gli individui.
Qualunque seria pedagogia spiega che per educare al meglio occorre saper selezionare o costruire attività avendo chiari gli obiettivi da raggiungere nel breve e nel lungo termine. Bisogna anche saperle proporre in modo da garantire la massima resa potenziale riducendo i tempi di assimilazione e senza trascurare mai libere fasi di esplorazione e apprendimento autonomo.
Tutte modalità che nel nostro ambito didattico-musicali sono state efficacemente espresse da grandi didatti che ci hanno preceduto (da Orff a Dalcroze, da Kodaly a Goitre, da Gordon a Suzuki). Idee che dovremmo continuare a praticare senza ingabbiarle, sperimentandole e contestualizzandole nei diversi periodi e contesti. A questi pensieri “storici” tutte le didattiche in realtà continuano ad appoggiarsi.
Allora perché così tante proposte che vediamo circolare si fregiano dell’aggettivo di “nuovo metodo”? Quale consapevolezza didattica può veramente nascondersi in chi promuove un “nuovo metodo” al giorno d’oggi?
È comprensibile che sia diventato difficile discernere tra varie proposte formative nel campo didattico-musicali. Affidarsi a metodi pre-confezionati che offrono schede ed esercizi graduati può sembrare una soluzione allettante. Tuttavia, spetta a noi decidere se vogliamo crescere come educatori musicali o se ci accontentiamo di seguire una strada già tracciata. È nostra responsabilità determinare se desideriamo imparare a comprendere le esigenze dei nostri allievi e il ruolo che l’educazione musicale può svolgere nella loro crescita, oppure se preferiamo lasciare che altri ci dicano cosa fare, passo passo.
Sono questioni che ha senso porsi ogni volta che si vuole scegliere un percorso formativo, evitando di farsi ingannare da semplici soluzioni e, al contrario, approfondendo i contenuti e le modalità di proposta, la storia dei centri di formazione a cui vogliamo rivolgerci e l’esperienza dei loro formatori. Altrimenti continueremo a seguire formazioni senza formarci mai, educare senza sapere a cosa e per cosa educhiamo, e chi sarà più penalizzato dalle nostre cattive scelte saranno i nostri allievi.
N.B: Questa rubrica si propone di esplorare i molteplici aspetti della formazione didattico-musicale contemporanea, fornendo stimoli di riflessione e prospettive a insegnanti ed educatori impegnati nella scuola o nel terzo settore musicale.
quando e se arriverò a leggere vi ringrazio per il troppo stato