LA DISOMOGENEITÀ DEL CORO-CLASSE. TRASFORMARE UN PROBLEMA IN UNA SFIDA DIDATTICA
di Bernardo Donati *
L’argomento è infinito lo so, non ho la pretesa né di averlo capito fino in fondo né di averlo risolto, ma voglio cogliere l’occasione di provare a condividere un po’ di ottimismo e fornirvi delle generiche linee guida operative che, spero, possano essere utili per lavorare con maggior efficacia.
Ho spesso avviato le sessioni di formazione sulla direzione del coro scolastico domandando ai corsisti per lo più musicisti già professionisti: “In un coro-classe, quindi non selezionato in alcun modo se non per età, qual è la caratteristica saliente che condiziona fin da subito tutto il lavoro?” Dopo vari tentativi più o meno centrati, appare una risposta significativa: una pervasiva dis-omogeneità, riguardante una tale molteplicità di aspetti, musicalmente e didatticamente significativi che, se trascurata, porta molto spesso a un insuccesso della progettualità immaginata.
Gli allievi si differenziano per: tipologia di ascolto, memoria musicale, libertà espressiva, tonicità fisica, coordinazione motoria, retroterra culturale, proiezione culturale, abitudine al canto, aspetti cognitivi, repertorio linguistico, focus, propriocezioni, status emotivo, equilibrio sensoriale, esperienze pregresse più o meno motivanti… potrei continuare e accetto suggerimenti!
In questa situazione è chiaro che qualsiasi attività io proponga potrà essere veramente risonante sulla frequenza al massimo di tre o quattro allievi alla volta ed essere un buco nell’acqua per i rimanenti venti.
La tentazione fin da subito è quella di selezionare un certo numero di idonei sulla base dell’immagine di coro che io ho in testa, immagine che, fra l’altro, è una mia proiezione formatasi nel corso di molti anni di pratica musicale e che quindi non potrà in alcun modo essere presente nella mente degli allievi.
Inoltre la selezione non è assolutamente un criterio accettabile all’interno di una classe della scuola dell’obbligo.
Per questo ho cercato di sviluppare una didattica che, partendo proprio da questa situazione di difficoltà, mi desse non la certezza, ma una ragionevole possibilità di fare un buon lavoro per tutti.
Raggruppando le disomogeneità per macro-settori ne ho individuati quattro: area dell’ascolto, area della corporeità, area dell’apprendimento, area della libertà espressiva.
Afferiscono all’area dell’ascolto tutte le differenze personali riguardanti la capacità di orientare l’ascolto, la memoria sonora, l’emissione vocale ( che come ci insegna Tomatis sappiamo essere l’altra faccia dell’ascolto).
A livello corporeo gli allievi differiscono moltissimo in ordine alla percezione della gravità, fatto che costituisce una componente primordiale del ritmo (Dalcroze aiutaci!), della coordinazione motoria, della memoria motoria, dell’uso tecnico della voce, della qualità ritmica, del controllo posturale, dell’ipotonia e dell’ipertonia.
Riguardo all’imparare, osservare la loro capacità di apprendimento equivale ad addentrarsi in un’affascinante ma insidiosa foresta di stili cognitivi e usi diversi del pensiero logico o narrativo, presentanti vari gradi di capacità di astrazione o di memorizzazione di procedure concrete, di eventuali casi di DSA.
Ma (fondamentale), il vero propulsore o inibitore di tutta la personalità corale è l’aspetto psico-emotivo di ciascuno che varia nelle situazioni passando dalla partecipazione libera e gioiosa, alla fredda esecutività, all’inibizione, al rifiuto.
Fatta quest’analisi mi prendo la responsabilità di proporvi una soluzione che agisca sia sul piano del contesto umano sia sul piano tecnico.
Vi propongo di impiegare una buona parte della vostra energia nella creazione di un contesto “filo-vocale” nel quale l’espressione orale, cantata/parlata, sia il linguaggio naturale della sessione di lavoro. La classe diventa un luogo in cui la regola del gioco consiste nel gustarsi la libertà di esprimersi musicalmente con la voce. Alla base della riuscita di questo lavoro, c’è evidentemente, non la modellizzazione della vocalità su criteri di correttezza, ma su criteri di accoglienza e comunicazione.
Nel tempo ho dedicato sempre più tempo in attività che prevedano una “didattica per differenze” consistente, quindi, nella proposta di esercizi che coinvolgano diverse categorie di allievi: esercizi di ipertonia per gli ipotonici, di ipotonia per gli ipertonici, di liberazione vocale per gli inibiti, di precisione per “grossolani”, di azione per i flemmatici, di calma per gli agitati ecc… capito il criterio? Si può giungere fino a proposte molto specifiche riguardanti aspetti tecnici avanzati sull’uso dei registri, gli articolatori…
Questa “didattica per differenze” costituisce un motore potente per lo sviluppo dell’ascolto, come insegna Tomatis. A questo proposito trovo efficace proporre esempi sulle differenze timbriche, di frequenza, dinamica, articolazione, ritmo. Un buon risultato l’ottengo quando creo due esempi che vanno nettamente in contrasto tra loro nei vari argomenti trattati.
È utile variare repertori, tempistiche della lezione (tempi di riposo “ascoltante” sì, tempi morti mai!), variare i ruoli tra le voci, proporre l’uso del body percussion, il mimo, il coro parlato, l’auto-direzione.
È liberatorio giungere all’interpretazione tecnica evitando di incollare all’esecuzione caratteristiche sonore (fate più piano, staccato!) ma sempre dando vita ai tratti sonori a seguito della ricerca della giusta espressione coerente con la tonicità fisica.
Cerco sempre di progettare un’alternanza di attività ludiche, momenti di brainstorming, lettura, scrittura, disegno, teatro, danza: non basterebbero tutte le arti, tutti i pensieri, tutte le tecniche, tutte le parole a contenere, produrre e descrivere la meravigliosa complessità di un coro che canta con ascolto partecipante.
Ingegniamoci per permettere a tutti i nostri allievi di vivere quest’esperienza immaginando percorsi trasversali al canto che portino ciascuno a trovare il suo posto nel coro.
n quest’ottica la disomogeneità del coro è una sfida alla nostra intelligenza didattica, alla nostra capacità e volontà di trovare soluzioni e non può essere una scusa per abbandonare il lavoro prima ancora di averci provato.
* Socio AICI – Associazione Insegnanti di Canto Italiana– settore “Coralità”
AICI – ASSOCIAZIONE INSEGNANTI DI CANTO ITALIANA
AICI nasce e si sviluppa con il proposito di realizzare un punto di aggregazione, formazione e approfondimento sulle tematiche legate alla vocalità e alla sua pedagogia. Tutto ciò attraverso l’incontro, il confronto e la collaborazione fra tutte le figure, professionali e amatoriali, a contatto con il fenomeno della voce. L’obiettivo di AICI è che gli insegnanti di canto possano trovare nell’Associazione confronto e scambio, approfondimento, ricerca, studio e stimolo verso una sempre più aggiornata pedagogia e didattica del Canto.
È iscritta nel registro del Ministero dello Sviluppo Economico tra le associazioni che rilasciano la certificazione di qualità dei servizi prestati dai soci a seguito di una formazione permanente e si propone come punto di riferimento per gli allievi che desiderino avvicinarsi allo studio del canto avvalendosi di un insegnamento serio, preparato e aggiornato sottolineando quest’ultimo come libero e fondato sull’autonomia delle competenze e sull’indipendenza metodologica di ogni insegnante. AICI riconosce nel canto un’arte che va oltre il tecnicismo, avvalorandolo come espressione di emozioni, di libertà e bellezza.
Articolo molto interessante, fa venire voglia di approfondire l’argomento e sperimentare le idee proposte per trovare soluzioni alle problematiche che ogni realtà corale porta con sè.