IL DINAMISMO DEL CONSERVATORIO VIVALDI DI ALESSANDRIA. INTERVISTA A MARCO SANTI

di Piero Chianura

Se a livello nazionale stiamo assistendo a una generalizzata contrazione del numero di iscritti ai corsi accademici di Alta Formazione Artistica Musicale, ci sono realtà che riescono a mantenere alto il livello di attrattività nei confronti dei nuovi iscritti grazie a un ricco programma di iniziative sul territorio, spesso organizzate in un’ottica “glocal”. In occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico, tenutasi lo scorso 13 dicembre presso la sala consigliare del Comune di Alessandria, abbiamo incontrato Marco Santi, direttore di una di queste eccellenti realtà: il Conservatorio Vivaldi, fiore all’occhiello del capoluogo piemontese.

I numeri del Vivaldi raccontano un conservatorio in grado di attirare percentuali elevate di studenti fuori sede provenienti dalle regioni limitrofe, ma anche da altri Paesi europei, Sud America, Russia, Cina e Giappone. In termini assoluti, non si parla ovviamente di numeri da città metropolitana, ma le attività promosse sono molte e varie, dalle masterclass alle attività di orientamento presso licei musicali e scuole medie a indirizzo musicale del territorio; dalla partecipazione a progetti formativi come quelli del progetto Turandot alle proficue relazioni con le università cinesi. E poi le attività nell’ambito dei dottorati di ricerca e i tanti progetti per i quali è stato riconosciuto un finanziamento europeo.

Marco Santi, Direttore del Conservatorio Vivaldi di Alessandria (foto Giorgio Carlin)

MusicEdu Come si potrebbe sintetizzare il progetto del Conservatorio di Alessandria nei suoi elementi peculiari rispetto al contesto AFAM?
Marco Santi La premessa è che siamo un conservatorio di provincia, in una zona non propriamente felice dal punto di vista dei collegamenti ferroviari e che ormai da vent’anni soffre anche della mancanza di un teatro che accolga produzioni artistiche. Perciò la prima considerazione da fare è che la ragion d’essere di un’istituzione come la nostra su questo territorio non può limitarsi all’offerta formativa, proprio perché il territorio di Alessandria offre uno spazio di domanda culturale da colmare. Da molti anni, e ancor prima di me grazie ai miei predecessori, l’idea che il Conservatorio “producesse cultura gratuitamente” a favore della cittadinanza è uno dei fiori all’occhiello di questa istituzione. Per noi, la formazione artistica, al di là dello studio tecnico e della possibilità di incontrare visiting professor o maestri in occasione di masterclass ecc., è anche la produzione di eventi culturali con il coinvolgimento degli studenti. Penso al ciclo di eventi “Musica nelle città” in collaborazione con il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università del Piemonte Orientale, che ogni anno affronta una diversa capitale europea, o alle grandi produzioni operistiche come la recente Suor Angelica del Progetto “Casta Diva” (progetto biennale finanziato dall’Unione Europea, NextGenerationEU sulle risorse previste dal PNRR, in cui il Conservatorio “Vivaldi” è capofila di dodici altre istituzioni AFAM italiane e che ha l’obiettivo di far conoscere nel mondo le figure femminili del teatro musicale italiano, NdR), che vedono la presenza fattiva degli studenti come esecutori e a volte anche come co-organizzatori nella forma di “collaborazioni a tempo parziale”, che sono uno strumento di restituzione di risorse economiche agli studenti più volenterosi. Quindi la formazione e la promozione di eventi culturali sono assolutamente collegate l’una all’altra e tutto ciò non è scontato, visto anche il gran numero di produzioni che mettiamo in campo. Il fatto, poi, che il nostro sia un conservatorio di dimensioni medio-piccole con un numero non elevato di iscritti, crea un rapporto estremamente personale con gli studenti e con i colleghi che favorisce momenti veramente emozionanti. Quindi la particolarità di questo conservatorio è soprattutto la qualità e quantità della produzione artistica.

MusicEdu La limitata accessibilità della città e la stretta relazione con il territorio di Alessandria condizionano le richieste di iscrizione da parte di studenti provenienti da altre zone del Paese?
Marco Santi In realtà no perché la percentuale di studenti Alessandrini o dei comuni limitrofi è relativamente bassa, però dobbiamo valutare la capacità attrattiva del conservatorio sui vari livelli. Se osserviamo solo la fascia accademica che è quella che per statuto ci compete, la percentuale di studenti fuori sede e stranieri è alta perché, su 270 studenti iscritti ai corsi accademici contiamo fra il 16 e il 20 per cento di stranieri. Se scendiamo invece ai corsi propedeutici e, più sotto, a quei corsi che noi chiamiamo di “formazione di base” organizzati in autonomia e in autofinanziamento, allora è chiaro che la percentuale di studenti del territorio aumenta, ma diminuisce il numero degli iscritti perché, se una volta il conservatorio era una piramide, ora è una piramide rovesciata. Possiamo contare una sessantina di iscritti ai corsi di base e una cinquantina ai corsi propedeutici, il che ha senso se pensiamo che questi numeri sono più o meno quelli che avremmo avuto prima della nascita dei licei musicali.

MusicEdu Quali sono le ragioni della vostra capacità di attrazione sui corsi accademici e come vi relazionate con le sempre crescenti richieste dalla Cina?
Marco Santi Anzitutto abbiamo docenti di indubbio valore che si sono affermati tenendo masterclass in Italia e all’estero, attirando quindi studenti che desiderano studiare qui con loro. Poi c’è effettivamente un contingente significativo di studenti Cinesi, che da qualche anno vengono in Italia per studiare canto. Rispetto a loro, non tutti i conservatori si pongono nello stesso modo rispetto alle richieste di iscrizione. Per quanto ci riguarda, noi non abbiamo problemi sui numeri rispetto al contingente straniero, ma poniamo un filtro di qualità su chi vuole avviare un percorso accademico con noi. In Italia abbiamo un modo di lavorare molto diverso dal loro, che richiede una fase di raccordo. Perciò abbiamo iniziato a stringere rapporti stretti con alcune realtà cinesi, per promuovere dei corsi di preparazione all’esame di ammissione senza promettere nulla a nessuno, tanto che succede che qualcuno di quelli che seguono il corso non passi poi l’esame. Continuiamo anche a chiedere incontri con il loro formatori, non per insegnare niente a nessuno, ma per confrontarci con loro. Per esempio, nell’ambito del Progetto Turandot [un accordo tra il Governo italiano e il Governo cinese che riguarda le arti, la musica e il design e consente agli studenti cinesi che desiderano ottenere una specializzazione artistica di accedere alle Istituzioni accademiche italiane di Alta Formazione Artistica e Musicale, NdR], cerchiamo di intervenire nella fase di pre-ammissione, anche attivando dei pacchetti di corsi liberi per preparare gli studenti a quel tipo di appuntamento, sempre nel massimo rispetto del fatto che all’esame di ammissione tutti giocano ad armi pari, studenti interni ed esterni. 

L’auditorium del Conservatorio di Alessandria

Musicedu Con quali realtà cinesi vi relazionate, in particolare?
Marco Santi Con tre categorie diverse. Anzitutto, le scuole di italiano in Cina che sono in genere strutture private molto dinamiche con una concorrenza reciproca ferocissima. In questo momento collaboriamo con una in particolare, che ha un ottimo rapporto di dialogo con l’ufficio cultura dell’ambasciata italiana, il che facilita il rispetto della normativa di riferimento. Questa scuola prepara sulla lingua italiana tutti coloro che vogliono venire in Italia per qualunque attività. Noi siamo il loro riferimento per la formazione musicale. Operiamo da remoto, facendo un filtro iniziale tramite audizioni, a cui seguono alcuni mesi di preparazione all’esame di ammissione. Alla fine c’è una valutazione del percorso in cui ci capita anche di sconsigliare un eventuale viaggio in Italia per un esame di ammissione su cui a nostro parere non ci sarebbero molte chance per passarlo. Questo tipo particolare di rapporto ha delle criticità. Una riguarda la concorrenza sul territorio fra le varie agenzie formative, che cercano di essere competitive tendendo ad abbassare il livello dei candidati e premendo poi perché vengano accolti. L’altra dinamica negativa è che molti studenti in Cina chiedono di venire in Italia per studiare solo canto, avendo dei modelli di riferimento veramente limitati. Per loro il tenore di riferimento è Andrea Bocelli, con tutto il rispetto per Bocelli. Il fatto è che in questo momento a questi ragazzi basta avere un titolo per tornare in patria e iniziare a dare lezioni private, perché lì c’è molta richiesta per quel tipo di lavoro. Si tratta in realtà di una fase storica che prima o poi avrà una sua conclusione, perché se ci spostiamo verso Shanghai, per esempio, questo tipo di prospettiva è già cambiata. La seconda categoria di relazione è il rapporto con le università che troverà uno sviluppo allorché potremo rilasciare dei titoli congiunti. In questo momento stiamo lavorando con due università per il dipartimento di discipline umanistiche e artistiche su progetti di simil-Erasmus: i loro studenti vengono a fare da noi il loro quarto anno per la laurea di primo livello svolgendo attività che gli vengono riconosciute all’interno del loro percorso formativo. Se poi vorranno rimanere per fare il biennio dovranno passare gli esami di ammissione, ma c’è ancora un po’ di lavoro da fare per allineare i programmi, anche se il quadro è disegnato. Dal punto di vista musicale, nel loro piano di studi ci sono materie non proprio attinenti e in quattro anni di studio liquidano in sole 60 ore la storia della musica cinese e occidentale insieme, ma devo dire che gli studenti hanno una grande volontà e molti di coloro che si sono formati qui negli anni passati adesso insegnano là fornendo un valido aiuto nel far conoscere il nostro contesto. La terza categoria è il mondo dei conservatori. Noi siamo stati nel conservatorio dello Sichuan, una realtà enorme con 14.000 iscritti di cui 4.600 residenti all’interno della struttura, un teatro annesso al conservatorio con quattro sale di cui due da 1.500 posti, con i campi sportivi in mezzo, una clinica e tutti gli alloggi per gli studenti. Vincitori del prestigioso Premio Paganini venivano da quel conservatorio… È difficile giocare ad armi pari con loro perché, anche se sono molto cortesi nel loro essere molto formali, quando ti trovi davanti a quei numeri e a quell’assetto, ti senti una briciola. Eppure aspirano ai nostri titoli, anche se, ahimè, ricondotti soprattutto al canto. È per questo che, nel nostro piccolo, abbiamo sottoscritto convenzioni con queste realtà cinesi limitando i posti a disposizione per le classi di canto e offrendone su altri corsi.

MusicEdu D’altra parte, all’estero l’Italia è da sempre il Paese del bel canto… Chiusa la “parentesi cinese”, quali sono i corsi sui quali vi si riconosce storicamente maggior prestigio? 
Marco Santi Ci sono dei punti di forza storici che poi negli anni si sono evoluti per varie ragioni. Per esempio dalla scuola di corno di questo conservatorio sono usciti i migliori cornisti a livello internazionale, ma sono tutti musicisti ormai di una certa età. C’era sì un docente davvero importante, ma soprattutto c’era la cultura della banda. E la banda era il posto dove un docente seguiva i musicisti fin da piccoli portandoli poi in conservatorio. Ora non ci sono più le bande, ma soprattutto c’è stata una trasformazione sociale, occupazionale ecc. per cui invitare oggi una famiglia a far studiare corno al proprio figlio è anacronistico. È da qui che è derivato anche l’obbligo del secondo strumento, grazie al quale capita spesso che chitarristi, pianisti o organisti si rivelino mediocri sul loro primo strumento e magari per il secondo strumento scoprono di avere una predisposizione inaspettata. Nel conservatorio di Alessandria anche la chitarra classica ha avuto una storia importante: il nostro è stato uno dei primi conservatori ad avere la chitarra come disciplina strutturata. Ospitiamo qui il concorso Pittaluga che è il più antico e importante concorso internazionale di chitarra e devo dire che abbiamo anche la fortuna di avere due docenti di ruolo che sono concertisti professionisti di altissimo livello in grado di attirare gli studenti dall’esterno. La scuola di pianoforte, invece, ha avuto molte trasformazioni, ma c’è un nocciolo duro che tiene e che è positivamente contagioso. È una bella scuola, ricca di proposte e masterclass di alto livello.

MusicEdu Dal vostro efficientissimo ufficio stampa riceviamo anche molte informazioni sulle iniziative legate ad altri corsi come quello di musica elettronica, per esempio. Poi ci sono corsi nuovi come quello di musicoterapia legato alla didattica e ukulele…
Marco Santi Sugli altri corsi, non vorrei far torto a nessuno, ma citerei anche la scuola di fagotto, per esempio, che ha vissuto anni di crisi fino a quando non è arrivato un collega legato a un’associazione importante e molto attiva, grazie al quale la classe di fagotto è ora piena. Inoltre ci siamo inventati il primo concorso internazionale di fagotto, contro fagotto e quartetto di fagotti che, alla prima edizione, ha avuto quaranta iscritti anche da Francia, Germania, Portogallo… Abbiamo anche un dipartimento di jazz che ha dei docenti prestigiosi, uno su tutti Dado Moroni, e un dipartimento di musica antica che ha una sua stagione fatta di sette appuntamenti, che si chiama Il cantiere di Orfeo

L’orchestra del Conservatorio di Alessandria al concerto di inaugurazione dell’anno accademico 2025-2026

MusicEdu Che tipo di relazioni avete con i licei musicali del territorio e in generale con chi si occupa della fase propedeutica di preparazione al conservatorio, che in molti casi tende a spingere verso l’apertura dei corsi accademici pop-rock.
Marco Santi Senza denigrare chi ha fatto scelte diverse, noi abbiamo scelto di non aprire al pop-rock. So benissimo che avremmo raddoppiato i numeri, ma so anche che per aprire una nuova cattedra ne devo chiudere un’altra e secondo me in questa fase facciamo bene ad aspettare il flusso naturale delle cose. Come era successo già con il jazz, anche l’apertura dei corsi pop-rock al primo impatto crea un collo di bottiglia, anche qualitativo, perché non hai ancora l’esperienza necessaria e devi ancora mettere a punto i programmi. Insomma, ci vuole una fase di  assestamento generale prima di fare una scelta. Lo stiamo vedendo ora sul jazz, appunto, dove escono dal nostro conservatorio musicisti con una preparazione che non ha nulla da invidiare rispetto a quella dei musicisti classici. 

MusicEdu Rispetto al pop, il jazz ha potuto contare anche su una codifica straordinaria dal punto di vista dei metodi e delle metodologie didattiche. Dietro il pop non c’è lo stesso tipo di supporto e molti dei docenti pop-rock hanno ottenuto la cattedra soprattutto grazie alle esperienze professionali da “turnisti” legati al mondo dello strumento più che della didattica, anche perché la loro stessa formazione è fortemente derivata dal jazz.
Marco Santi Certamente. Invece per quanto riguarda il rapporto con i licei, grazie a Fondi PNRR messi a disposizione dal Ministero nel Programma “Orientamento 2026”, siamo impegnati a fare orientamento in quattro licei musicali del Piemonte, avendo peraltro scelto la forma più faticosa, cioè non quella di accogliere gli studenti per farli assistere a uno spettacolo raccontandogli quello che il mondo AFAM gli offre, ma quella di andare da loro a realizzare dei percorsi veri e propri. Uno di questi riguarda masterclass specifiche su strumenti come il pianoforte, la chitarra ecc… Un altro consiste in appuntamenti che coinvolgono tutte le classi in un modulo da tre ore durante i quali gli studenti dialogano, per esempio, prima con il docente di musica elettronica all’interno di una lezione tipo, per poi passare a quello di musicoterapia, poi di musica antica e così via. Ci sono anche moduli di preparazione all’esame di ammissione, in particolar modo alle prove percettive e a quelle analitiche sulle quali gli studenti dei licei fanno più fatica. 

MusicEdu Il fatto è che, se non è il conservatorio ad attivarsi, non c’è alcuno strumento ministeriale a cui appoggiarsi per creare le basi di un passaggio indolore per gli studenti che arrivano dal liceo.
Marco Santi La soluzione ministeriale è rappresentata dal propedeutico e dall’elenco dei repertori pubblicati in allegato al decreto ministeriale. Nel rapporto tra licei e conservatori c’è una asimmetria fra il meccanismo che per forza di cose un liceo deve osservare nel suo funzionamento e nella sua mission rispetto a un conservatorio all’interno del quale l’obiettivo professionalizzante è connaturato. In conservatorio, se uno studente non ce la fa, può rallentare oppure lasciare. Se fa fatica su una materia teorica, la recupera dopo e intanto cerca magari di concentrarsi su una materia esecutiva. Un liceo, invece, è una classe rigida e il livello di entrata è assai disomogeneo perché solo una parte di studenti ha fatto i tre anni in una scuola a indirizzo musicale. C’è poi un problema di numeri a causa del calo demografico. Ma in ogni caso possiamo dire di aver costruito pazientemente una bella relazione con i licei di Alessandria, Asti, Vercelli e Chivasso, che hanno ottimi insegnanti con i quali abbiamo costruito nel tempo ottimi rapporti confrontandoci anche sui programmi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *