ENRICO INTRA. L’IMPROVVISAZIONE È IMPROVVISATA?

di Eloisa Manera e Piero Chianura

Presentato in anteprima lo scorso 4 settembre a L’Aquila, in occasione dell’evento annuale “Il jazz italiano per le terre del sisma”, il testo “L’improvvisazione è improvvisata?” curato da Enrico Intra e Riccardo Scivales ed editato da Maurizio Franco, raccoglie i contributi di una quarantina di jazzisti italiani. Si tratta, più precisamente, di sei saggi scritti da Vincenzo Caporaletti, Roberto Favaro, Maurizio Franco, Albert Hera, Giancarlo Schiaffini e Gegè Telesforo e i contributi musicali di tutti gli improvvisatori coinvolti nel progetto. Progetto che abbiamo voluto farci raccontare direttamente dal Maestro Enrico Intra, uno dei personaggi più influenti del jazz italiano.

MusicEdu (Piero Chianura) Parlaci di questo progetto editoriale in cui sei riuscito a coinvolgere tantissimi musicisti.
Enrico Intra È un progetto composto da due fascicoli. Il primo propone scritti sulla musica jazz mentre il secondo include soltanto improvvisazioni, la maggior parte composte dai musicisti coinvolti, che dopo averle suonate le hanno poi riportate su pentragramma, creando un materiale didattico abbastanza unico ed eccezionale. Gli studenti delle scuole di jazz studiano da sempre su un repertorio uguale per tutte le scuole, da Santa Lucia a Tokyo. Tutti studiano “Autumn Leaves” e “All the things you are”, cioè su un materiale che è rappresentato da canzoni. Nel nostro caso, invece no, perché si tratta di materiale che è passato attraverso un pensiero estemporaneo. Lo studente studierà i soli trascritti di Rava, di Fresu, di Eloisa e di tutti gli altri jazzisti (hanno partecipato ben 40 colleghi!), indagandone il pensiero e la fantasia.

MusicEdu (Eloisa Manera) Il testo è interessante anche perché contribuisce a scardinare un mito ormai mondiale che la didattica sia legata solo alla produzione americana, a partire dai Real Book. Così come viene scardinata anche la questione che l’allievo che si avvicina al jazz debba usare gli standard per improvvisare. In questo caso invece c’è un meccanismo capovolto, ovvero dall’improvvisazione si arriva al testo, dall’orale si arriva allo scritto, da cui si rilancia l’improvvisazione.
Enrico Intra Non dovrei dirlo io, ma questo è un libro straordinario. Mi è piaciuta molto la frase che ha usato Paolo Damiani quando l’ho presentato a L’Aquila. Invece di dire che è “bello” o “interessante’ ha detto che è “necessario”. E io sono d’accordo perché capovolge quell’abitudine a far sempre le stesse cose, perché le armonie delle canzoni che si usano di solito sono sempre le stesse, e quindi obbligano anche l’improvvisazione a girare sulle stesse cose: è come scrivere un libro con delle parole limitate e non usare tutto il vocabolario che hai a disposizione. E quando improvvisi, per esempio, su brani come “Autumn Leaves”, pensi sempre alle versioni di altri musicisti che ci hanno già improvvisato. Se sei un saxofonista la tua mente va inevitabilmente alla versione di Bill Evans di cui diventi schiavo e così la tua creatività viene umiliata. Perciò mi sono chiesto: “ma che cavolo di improvvisazione è, se tu fai l’improvvisazione del Maestro?”. È una specie di furto, anche se necessario. Con questo testo invece si improvvisa su brani derivati dalle improvvisazioni di musicisti italiani.

MusicEdu (EM) Coinvolgere così tanti musicisti significa anche offrire uno spettro più ampio con tante vie nuove da poter prendere improvvisando.
Enrico Intra Sì, e poi anche il sottotitolo del secondo fascicolo sottolinea quello che sto dicendo. Non si chiama “Real Book” ma “Il primo vero libro del jazz italiano’ con la parola libro a cui viene aggiunta la lettera “e” per farla diventare “libero”… libero dalle improvvisazioni degli altri e libero dai Maestri.

MusicEdu (PC) Questo progetto editoriale riunisce jazzisti che hanno lavorato e improvvisato molto sugli standard, insieme ad altri che si sono dedicati molto di più alla libera improvvisazione, mettendo insieme generazioni diverse e differenti approcci all’improvvisazione in un testo che potremmo definire “ufficiale”.
Enrico Intra Penso che tu abbia perfettamente ragione. L’improvvisazione non è solo la musica jazz e il musicista improvvisa da quando è nata la musica. Certamente il jazz ha una sua particolarità, però anche in questo linguaggio straordinario, che è pur chiuso in una gabbia, l’approccio proposto dal testo permette ogni tipo di improvvisazione. Naturalmente è necessario lo studio, è necessario conoscere quello che è successo nel passato e occorre sapere che l’improvvisazione non è soltanto quella del jazzista e delle sue capacità. Dietro a ogni composizione messa sul pentagramma c’è stata l’improvvisazione di una diversa sensibilità musicale e, in questo senso, abbraccia tutte le improvvisazioni di tutti i generi musicali in un testo “ufficiale”, come dici tu. Certo non si tratta di un musicista che improvvisando finisce per fare un minestrone, ma di un bravo cuoco che ci insegna a usare gli ingredienti in modo equilibrato per fare una minestra straordinaria.

MusicEdu (PC) Ricordo che una volta hai affermato che nell’improvvisazione jazz non si deve mai perdere il senso del blues. Ci vuoi spiegare meglio cosa intendi?
Enrico Intra Ti faccio un esempio. Una volta feci leggere le improvvisazioni di Keith Jarrett a un musicista che aveva pratica di lettura della musica classica e fu un disastro! Il jazz è pronuncia! La musica jazz è musica non è solo leggere le note, ma è il modo di leggere quelle note, il modo di pronunciarle. È la differenza che passa tra una poesia letta da un attore e una poesia letta da un alcolista ubriaco.

MusicEdu (EM) Anche la conoscenza fa la differenza. Comunque si parte da lì, è imprescindibile!
Enrico Intra Certamente, ma la pronuncia è la cosa più importante. Tant’è vero che io ho suggerito ai docenti della nostra scuola di applicare non il solfeggio, ma lo skat [cantare una frase in stile bebop, come fa Gegè Telesforo, NdR]. Se un allievo riesce a fare lo skat allora può diventare un buon jazzista.

MusicEdu (PC) Parlando di free jazz e di quelle forme musicali più libere e audaci, che molti improvvisatori adottano nelle loro performance dal vivo e che impedisco al pubblico inesperto di comprenderne le reali qualità e il percorso di conoscenza che sta dietro, come si fa a distinguerle dalle “sceneggiate” prive di valore musicale?
Enrico Intra Innanzitutto la qualità dell’improvvisazione, che arriva dalla conoscenza di tutte le musiche che il pubblico può riconoscere, da Chopin, a Debussy, a Stockhausen, a Schoenberg… a Bach anche se non è facile da capire per il pubblico. Poi c’è il passepartout che può avvenire annunciando ciò che stai per suonare: se stai per eseguire un’improvvisazione su un brano noto offri una chiave di lettura al pubblico, anche se non riesce a capire la tua improvvisazione, e quindi non hai più bisogno del passaporto per comunicare il tuo pensiero e comunicare la tua poesia. E qui il vantaggio del jazz è poterlo fare immediatamente. Il jazzista è un musicista straordinario nel bene e nel male, perché ti comunica immediatamente quello che prova. Un bravo jazzista è come un bravo oratore, diversamente da uno che legge semplicemente. Un improvvisatore jazz è uno che inventa parlando e dice delle cose interessanti, mentre un musicista classico è uno che dice altrettante cose interessanti però leggendo ciò che è stato scritto prima, cioè la musica su pentagramma.

MusicEdu (EM) Fino al ‘900 anche il musicista classico in qualche modo aveva un contatto più diretto con l’improvvisazione. Beethoven improvvisava, Liszt improvvisava, per non parlare dei rinascimentali e dei barocchi, che avevano addirittura dei libri tipo Patterns. Dal ‘900 in poi è come se ci fosse stato uno scollegamento con il corpo e con l’immediatezza, cosa che il jazzista ha invece molto forte.
MusicEdu (PC) Si dice anche che sia stato l’avvento della riproducibilità della musica ad ammazzare l’improvvisazione non solo nella musica classica ma in tutte le musica moderne, mentre nel jazz l’improvvisazione è l’essenza che ne codifica la natura fin dall’inizio. Con l’avvento della discografia, gli stessi esecutori classici inseguivano dal vivo le proprie esecuzioni su disco.
MusicEdu (EM) Paradossalmente la stessa rivoluzione tecnica che ha permesso al jazz poi di vivere di estemporaneità, invece poi ha condizionato la musica classica a prendere una via completamente opposta di astrazione.
Enrico Intra Mortificandone anche la gestualità. I musicisti classici hanno la stessa gestualità, camminano, parlano, si vestono e si atteggiano tutti nello stesso modo.

MusicEdu (PC) Anche se i geni della musica classica invece hanno spesso avuto una gestualità e un atteggiamento anticonvenzionale, da questo punto di vista.
Enrico Intra Infatti ora i musicisti classici hanno cominciato a togliere la giacca, la cravatta, hanno scoperto la camicia, i maglioncini a collo alto.

MusicEdu (PC) Accade alle nuove generazioni di musicisti classici, infatti. A proposito di nuove generazioni, è apprezzabile questa tua attenzione e curiosità nei confronti degli altri musicisti in generale e dei giovani in particolare.
Enrico Intra È appunto l’età che me lo permette. Ed essendo io più vicino ai 90 che agli 80 è importante per me motivare il cervello, farlo lavorare e allenarlo incontrando persone come voi, che mi costringono a dare delle risposte possibilmente intelligenti e soddisfacenti, capisci? [ridiamo, NdR]. Ma una cosa interessante che ho scoperto da poco e che mi consente ancora di improvvisare con piacere è l’uso delle composizioni di musicisti che hanno scritto gli esercizi, tipo Kreutzer e Pozzoli, che vengono usati per studiare prima di diventare jazzista o musicista classico. Io vado alla fonte e uso questi esercizi armonizzandoli a modo mio. È un progetto in duo con una giovane allieva contrabbassista (Margherita Carbonell, NdR) ed è un’esperienza straordinaria: si basa sugli esercizi che Kreutzer scrisse per contrabbasso che io ho armonizzato e che lei è esegue con una certa tranquillità, avendoli studiati prima di studiare jazz.

MusicEdu (EM) Penso che non sia venuto in mente ancora a nessuno di sviluppare composizioni partendo dagli studi, perché un esercizio è considerato musica “di serie b”.
Enrico Intra Altri musicisti lo hanno fatto. Per esempio, Enrico Pierannunzi con Scarlatti, ma eseguendone i brani in modo jazzistico, comunque non esercizi.

MusicEdu (EM) Tornando a L’improvvisazione è improvvisata?, di chi è stata l’idea, tua, di Scivales oppure dell’editore?
Enrico Intra Mi secca dirlo… l’idea è stata mia. Poi ho voluto arricchire il testo con dei contenuti e così ho coinvolto Riccardo Scivales, molto conosciuto anche negli Stati Uniti perché da anni trascrive tutti i soli di grandi musicisti americani. Per essere sicuri della grafica, del contenuto e di tutto il resto, ho poi affidato l’editing al mio amico Maurizio Franco che è un musicologo a 360°, un uomo di cultura, ma soprattutto è un conoscitore della nostra lingua, che è il jazz.

MusicEdu (PC) È prevista qualche presentazione a breve?
Enrico Intra presenterò i due fascicoli il prossimo 11 novembre al Teatro Lirico, dove curo la programmazione della stagione jazzistica, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano con cui lavoriamo da vent’anni con la Civica Jazz Band, e dove interverranno alcuni jazzisti milanesi presenti nel libro accompagnati dall’orchestra Milano Jazz Band sempre della Civica Scuola di Jazz.

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