AUTISMO, MUSICOTERAPIA E ABA. UNA TRIADE DISSONANTE?

IL RACCONTO DI UN’ESPERIENZA EFFICACE

di Cristina Vignati

Uno degli aspetti più interessanti della condizione autistica è l’incredibile varietà delle manifestazioni che si collocano all’interno dello spettro. Anche le scienze e gli approcci impiegati in quest’ambito sono numerosi: tra questi, l’ABA (Applied Behavior Analysis – analisi applicata del comportamento) e la musicoterapia rientrano a pieno titolo tra gli interventi consigliati dalle linee guida 21 dell’Istituto Superiore della Sanità. 
Affiancare queste due scienze può sembrare insolito. L’ABA, da un lato, con il suo rigore nell’applicazione dei programmi e nella raccolta dei dati, nonché la descrizione accurata dei comportamenti attesi da chi la applica e da chi ne beneficia. La musicoterapia dall’altro, che si fonda sull’arte dell’improvvisazione e sull’accettazione incondizionata di qualsiasi risposta del paziente.

Nonostante l’apparenza, tuttavia, è possibile individuare molte affinità: l’importanza attribuita alla strutturazione del setting, il ruolo fondamentale riconosciuto al contesto, l’attenzione alla relazione con l’altro e l’utilizzo dell’imitazione.

Ritengo che la forza di qualsiasi intervento risieda nella possibilità della scienza di piegarsi, senza stravolgersi, alla specificità del caso, con l’obiettivo condiviso di apportare un miglioramento al benessere di tutte le persone coinvolte.
È in quest’ottica che si sviluppa il mio lavoro di educatrice con Andrea, un ragazzo di 17 anni estremamente sensibile e ricettivo nei confronti dell’altro nonostante il quadro clinico complesso, la fatica nel compiere le più semplici azioni di vita quotidiana e la comunicazione esclusivamente non verbale.
Grazie all’aiuto e alla partecipazione della famiglia e dei professionisti che lavorano con lui, io e Andrea abbiamo intrapreso un percorso educativo con la musica come protagonista. La scelta è stata suggerita proprio dal ragazzo, che ha manifestato una particolare sensibilità per gli stimoli musicali e il canto, tanto da riconoscere la mia voce attraverso lo schermo durante il primo lockdown, direzionare lo sguardo verso il mio, sorridere e interrompere, per quasi un minuto, alcune stereotipie.

I due macro-obiettivi su cui si è focalizzato l’intervento sono la relazione e il rilassamento, declinati in una serie di indicatori specifici quali il numero di occasioni di contatto oculare, la collaborazione nella strutturazione del setting, la riduzione delle interruzioni dell’attività e il conseguente aumento progressivo della durata delle sessioni.
Ispirati dal modello Benenzon, abbiamo scelto dei brani che potessero appartenere all’Identità Sonora di Andrea, valorizzandone le esperienze e gli apprendimenti pregressi; per garantire la ripetitività nell’intervento, invece, nel progetto è stata introdotta una dimensione rituale, particolarmente apprezzata da Andrea, che è diventata un vero e proprio Stimolo Discriminativo per indicare l’inizio dell’attività.
Abbiamo lavorato nella sua camera da letto, in un contesto naturale (NET), utilizzando oggetti intermediari che potessero produrre suoni senza prevedere una competenza musicale. Il corpo e la voce sono stati centrali nello svolgimento degli interventi, così come l’utilizzo dell’imitazione e del rispecchiamento, che hanno rafforzato la relazione e favorito il paring tra l’attività e gli stimoli graditi.
Nell’ultima fase del percorso, si è previsto l’inserimento della madre di Andrea, valorizzandone le competenze e il ruolo, per una progressiva sostituzione di quello dell’operatrice. Andrea sorride, cerca il contatto oculare, si sdraia, e resiste alla tentazione di alzarsi e camminare per più di cinque minuti. 
A oggi, Andrea e la madre lavorano insieme, anche senza di me, e si rilassano entrambi sulle note del pianoforte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *