ALBERTO MESIRCA.
QUANDO VINCE IL REPERTORIO
Di Piero Chianura
Chitarrista classico tra i più apprezzati a livello internazionale, Alberto Mesirca non è soltanto un’eccellente interprete del repertorio chitarristico moderno, ma è ricercatore curioso e coraggioso sperimentatore, consapevole che la personalità di un chitarrista debba esprimersi attraverso la scelta oculata dei repertori su cui cimentarsi. Una prospettiva nuova su cui indirizza anche il percorso di studi dei suoi allievi in Conservatorio.
MusicEdu Scorrendo le tante produzioni discografiche in cui sei stato impegnato negli ultimi anni, si nota una spiccata trasversalità tra i generi musicali con repertori poco praticati dai chitarristi classici.
Alberto Mesirca È che io sono innamorato del mondo jazz, più sul versante rock che pop, anche perché ho avuto la fortuna di lavorare con due personaggi molto interessanti in questo ambito. Il primo è Robert Fripp che ho conosciuto partecipando alla sua Guitar Craft, un corso per chitarristi che prevede diversi seminari. È stato uno di quegli incontri che ti cambiano la vita. Il secondo personaggio è stato Marc Ribot con cui ho tuttora un rapporto molto stretto. Con lui ho fatto un progetto sulla musica del suo maestro Frantz Casseus veramente molto interessante. Quello che mi attrae di questi personaggi è che, mentre i chitarristi classici improntano la loro vita sullo studio e, per necessità, sull’insegnamento, loro hanno una vera vita da musicisti: riescono a stare in giro per due mesi suonando ogni sera in un posto diverso, cosa che manca a quasi tutti i musicisti classici.
MusicEdu I musicisti che scelgono un percorso di studi accademico, aspirano a entrare in un’orchestra stabile oppure cercano di diventare virtuosi del proprio strumento per entrare nell’èlite dei solisti eccellenti. Sembra che tu abbia scelto una terza via…
Alberto Mesirca Nell’ambito specifico della chitarra non esiste la prima via, quella dell’ingresso stabile in orchestra perché, a parte poche opere che prevedono la presenza della chitarra come Il Barbiere di Siviglia di Rossini, la nostra presenza non è mai richiesta. Quindi ci si può concentrare sulla carriera solistica o sulla musica da camera in generale. Ma per accedervi si deve passare dai concorsi. Ora, i concorsi possono essere utili per far girare il proprio nome quando si riesce a vincerli, ma quelli di chitarra sono molto di nicchia. I grandi nomi di una volta, come lo stesso Segovia, erano riusciti a portare la chitarra nell’ambito della musica da camera spinti da grandi agenzie di management e dai festival cameristici, ma oggi non c’è più una figura in grado di sostenere quel livello, sebbene ci siano chitarristi di grande valore. Così la chitarra è tornata nei festival chitarristici, che coincidono anche con i concorsi, chiudendosi in un circolo autoreferenziale che si rivolge esclusivamente al suo mondo di riferimento. Da giovane ho provato anche io qualche concorso ma quella strada non faceva per me, sia perché devi attenerti a un programma piuttosto standardizzato, sia perché devi scendere a compromessi sul modo di suonare un repertorio che vada incontro ai gusti della maggior parte dei giurati. È difficile vincere un concorso proponendo un repertorio audace o con delle idee interpretative originali, perché in giuria troverai sempre qualcuno che lo riterrà troppo azzardato. Ho avuto invece un grandissimo maestro che mi ha illuminato. Si chiama Angelo Gilardino ed è stata una figura di riferimento per molti chitarristi dalla seconda metà del Novecento a oggi. Lui mi ha fatto capire che si può evitare la via dei concorsi facendosi forti di scelte di repertorio caratterizzanti e personali. Un intenso lavoro di ricerca su un repertorio che funzioni e che sia aperto ad altri ambiti, così come a collaborazioni con compositori di musica contemporanea o di musica da camera, può aprirti nuove strade per una carriera importante. Me lo sono ripetuto come un mantra e sono felice che questo abbia funzionato nel mio caso. Non era così scontato, perché non basta la bravura, ma ci vogliono altri elementi come la fortuna e la perseveranza, che nella musica sono altrettanto importanti.
MusicEdu Quali progetti hanno caratterizzato il tuo percorso artistico, accreditandoti all’interno della comunità della chitarra classica?
Alberto Mesirca Per me è stato molto importante collaborare con alcuni compositori viventi come Angelo Gilardino, appunto, o Claudio Ambrosini, attivi da molti anni in ambito musicale con una scrittura che credo di riuscire a interpretare in maniera coerente a un’estetica che amo particolarmente. La questione è che si può suonare di tutto riuscendo anche a interpretare compositori molto diversi, ma credo che si possa andare in profondità solo con quelli con i quali si sente una certa affinità e attraverso i quali si riesce a dare un messaggio vero. L’ascoltatore capisce bene questa cosa, indipendentemente da quanto conosca la musica contemporanea, perché c’è perfetta aderenza con l’estetica del brano che stai eseguendo. La collaborazione con Gilardino mi ha aperto molte strade anche perché, quando ho cominciato a lavorare come musicista, lui è stato direttore dell’archivio Segovia a Linares nel momento in cui stava per essere pubblicato. Segovia aveva raccolto molte opere nel suo archivio di Linares, ma per sue scelte interpretative non le ha eseguite tutte. Grazie al contatto con Gilardino, ho avuto la fortuna di suonare e registrare alcune di queste opere non ancora eseguite. Mentre studiavo in Germania ho incontrato poi il violoncellista viennese Martin Rummel, grazie al quale ho conosciuto molti musicisti da camera con i quali ho poi sviluppato altri progetti. Così sono riuscito a entrare anche nel circuito della musica da camera.
MusicEdu Qual è stato invece il tuo approccio al mondo della discografia?
Alberto Mesirca Ho sempre ragionato in maniera indipendente rispetto ai canoni delle registrazioni per chitarra. Negli anni Ottanta/ Novanta esisteva il recital per chitarra, un progetto discografico di un interprete che proponeva autori di diverse epoche, che magari avevano pochissime connessioni tra loro, ma che rispecchiavano il programma da concerto che l’interprete promuoveva attraverso il disco. Io ho avuto la fortuna di avere un padre grande appassionato di jazz. Grazie a lui ho potuto ascoltare i dischi ECM, che per me sono stati una fonte di ispirazione enorme sia per la cura grafica dei dischi che per i progetti in sé, spesso monografici, dedicati a un singolo compositore oppure incentrati su un tema specifico, ma comunque con un progetto forte. Lavorando con Gilardino, che ha una visione estetica della chitarra che io condivido, non tanto virtuosistica, ma più intimista e molto attenta al timbro della chitarra, sono arrivato a dedicare una mia uscita discografica a tutti i compositori del Novecento che aderivano a questo tipo di estetica, da Federico Mompou a Manuel De Falla, a Vincent Asencio, tutti autori la cui idea di composizione è molto chiara e ascrivibile a una sensibilità comune [La Musica dell’Anima, 2016, NdR].
MusicEdu Progetti più recenti?
Alberto Mesirca Da poco sono usciti due cd solisti, uno monografico dedicato a Vincent Asencio [Complete Guitar Music, 2019, NdR], un compositore valenciano vissuto durante tutto l’arco del Novecento fino agli anni Settanta, che ha dedicato alla chitarra non molti numeri d’opera, ma tutti legati a una poetica molto autentica della zona catalana della Spagna, molto intimista. Vicente Asencio un compositore di estrazione accademica, ma è stato molto influenzato dagli impressionisti francesi. L’altro progetto è un cd dedicato alla musica contemporanea italiana [Free Guitar On Earth, 2020, NdR] uscita con un’etichetta giapponese che si chiama Da Vinci Classic, e che raccoglie composizioni di molti autori italiani con cui ho anche avuto il piacere di collaborare.
MusicEdu E veniamo alla tua attività di docente di Chitarra Classica al Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari.
Alberto Mesirca Sono al secondo anno a Bari, dopo tre anni di insegnamento al Conservatorio di Adria vicino a Rovigo. Anche se ho le credenziali giuste, mi ritengo molto fortunato a essere in una graduatoria nazionale, quando ci sono dei ragazzi concertisti poco più giovani di me che si stanno facendo in quattro per riuscire a entrare nelle graduatorie a chiamata nei diversi Conservatori. Trovo assurdo che, diversamente dalle scuole tedesche e americane, per accedere alla graduatorie in Italia si debba avere già insegnato per tre anni, mentre i titoli artistici non sono tenuti in considerazione. Il che vuol dire che in un mondo in cui si insegna a fare musica non viene considerata la qualità degli interpreti. È come se insegnassero avvocati che non hanno mai partecipato a un processo. Io credo che sia necessario essere dalla parte di chi deve suonare e non avere la supponenza di insegnare qualcosa che si è smesso di fare magari dieci o venti anni prima.
MusicEdu Qual è il tuo approccio didattico nell’insegnamento della chitarra classica ai ragazzi?
Alberto Mesirca Cerco di dire ai ragazzi che, piuttosto che concentrarsi sui brani indicati a livello ministeriale, è meglio sviluppare un proprio repertorio, stimolando la curiosità nei confronti di quello meno conosciuto, anche di autori canonici come Giuliani, Sor e altri, che vengono erroneamente considerati noiosi perché si conoscono solo alcuni aspetti e si affrontano i soliti brani triti e ritriti. Invito gli allievi a studiare un repertorio che si addica alla loro personalità, sia esso più introspettivo o più puntato al virtuosismo.
MusicEdu Parlare di sé attraverso un repertorio che si è scelto salva anche da quel senso di inadeguatezza che molti allievi provano quando studiano qualcosa che non sentono proprio e che li blocca anche quando devono esibirsi…
Alberto Mesirca È assolutamente vero. E poi se c’è una piena aderenza con quello che si studia, si va in profondità anche se ci sono difficoltà tecniche maggiori. Un altro aspetto è che tutti i ragazzi studiano in prospettiva solistica, mentre in altri generi musicali suonare con gli altri è molto più importante. Quando si decide di intraprendere la carriera solista ci si fionda subito a suonare da soli, mentre suonare con gli altri può fornire tantissime indicazioni proprio a se stessi, perché ci si abitua alla pulizia, alla correttezza e alla precisione. Mi è capitato di vedere grandi solisti che avevano vinto concorsi importanti, partecipare poi a festival di musica da camera in cui dopo aver tenuto il loro concerto solista si vedevano “costretti” a dover suonare insieme agli altri. Be’, vederli in difficoltà è stato veramente imbarazzante. Si capiva che il loro lavoro era stato focalizzato su se stessi e questa è una cosa che possiamo ancora imparare dai musicisti jazz, rock e pop, abituati più di noi a suonare insieme agli altri.