MATTEO VAGHI.
UN PROTAGONISTA DELLA LIUTERIA MODERNA
di Max Pontrelli
Il mondo della liuteria, per chi lo approccia per la prima volta, può dare l’idea di un contenitore chiuso dove forme, riferimenti e personaggi sembrano perpetuarsi quasi come il movimento di un pendolo inesorabile. Non è così, per fortuna: se ci addentriamo in questo mondo, l’evoluzione si paventa anche qui come necessario impulso progressista. Matteo Vaghi rappresenta, insieme ad altre realtà nazionali e internazionali, la nuova corrente di liutai costruttori di chitarre classiche partiti da una rigorosa formazione accademica tradizionale e cresciuti con l’impulso dell’innovazione e della sperimentazione.
Osservando la storia di Vaghi salta all’occhio una curiosità mossa da innato spirito di conoscenza che lo vede confrontarsi, subito dopo il diploma conseguito presso la Civica scuola di liuteria di Milano, con un apprendistato ricercato nella patria dello strumento scelto come proprio destino professionale: Granada. Quale modo migliore per vivere l’inizio della sua attività? In 5 anni di permanenza in Spagna un riconoscimento importante arriva con l’inserimento del suo nome all’interno della prestigiosa pubblicazione La escuela granadina de guitarreros.
Torna in Italia e si dedica alla ricerca e alla sperimentazione di nuovi modi per fare evolvere uno strumento, che si basano essenzialmente su due archetipi che hanno fatto scuola: le chitarre di Torres e quelle di Hauser. Come spesso accade, la ricerca spasmodica della replica fine a se stessa non basta a chi non si accontenta di riprodurre. Bisogna evolvere. Allora Vaghi si appassiona ai nuovi pionieri costruttori del suo settore ed è proprio dall’australiano Gregg Smallman e dal tedesco Mathias Dammann che decide di sviluppare il proprio modo di concepire la chitarra classica, esteriormente rigorosa nelle forme e proporzioni (anche se vedremo più avanti che non è proprio così), ma innovativa all’interno, dove l’anima della sua voce prende direzioni diverse perché le soluzioni costruttive attuate escono dal seminato e, osando, arrivano a risultati sorprendenti.
“Cedro moderno” è il termine utilizzato dagli addetti ai lavori quando si parla della nuova corrente di costruttori di chitarre classiche. Essenzialmente, chi aderisce a questo stil novo attraverso un modo diverso di costruire il piano armonico (nel progetto originale di Smallman balsa e fibra di carbonio, in quello di Dammann cedro e Nomex, una fibra sintetica usata nell’industria aeronautica ) cerca e ottiene più volume e proiezione, distaccandosi in maniera netta dal metodo tradizionale che prevede un timbro più complesso, ma meno efficiente. Vaghi, dopo molto sperimentare, approda a una propria rilettura del metodo di Smallman, usando lo stesso pattern a nido d’ape al posto delle tradizionali catene a ventaglio, ma utilizzando una combinazione di essenze lignee al posto della fibra di carbonio. A questo unisce la proposta di una scala più corta (64 cm.) che rompe ancora una volta la tradizione dei 65 cm. e si propone come scelta dettata dalla comodità e non dall’emulazione. È noto che Andres Segovia usasse una Ramirez con scala più lunga (66 cm.): ma il Maestro aveva mani enormi e una scala più lunga aumenta la tensione delle corde.
A causa delle restrizioni internazionali imposte nell’utilizzo del palissandro, Vaghi inizia a usare lo ziricote, essenza rara, controllata ma disponibile, e la adotta per molti suoi modelli, tanto da diventare una sua nota distintiva personale. Un’altra soluzione adottata è quella della buca ellittica sulla fascia superiore, che ha funzione di “monitor” per l’utilizzatore. Con uno strumento pensato per proiettare la sua voce il più possibile, la seconda buca rimanda a chi suona un volume tre volte maggiore rispetto all’ascolto tradizionale dalla buca sul piano armonico. Per quanto riguarda fasce e fondo viene adottato un laminato, anche qui in contro tendenza rispetto a chi ha sempre caldeggiato la costruzione di queste parti in legno solido. La rigidità maggiore ottenuta dalla stratificazione del legno gioca a favore della proiezione e per riuscire a mantenere il controllo timbrico, Vaghi utilizza in realtà un’anima in massello ricoperta da due strati di impiallaccio. Attento a ogni particolare, Vaghi fornisce con lo strumento nuovo l’olio per idratare la tastiera, il polish per pulire le parti verniciate e due ossicini diversificati in altezza per il traversino e alcuni spessori per il capotasto. In caso di emergenza e in assenza dell’intervento diretto del costruttore, possono essere molto utili.
I suoi clienti provenienti da ogni parte d’Italia sono il riconoscimento del grande impegno che continua a mettere nella realizzazione dei propri strumenti e il suo operato mantiene viva la tradizione dell’eccellenza italiana della liuteria classica.
È possibile ammirare e provare gli strumenti di Matteo Vaghi presso il suo laboratorio di Cesano Maderno (MI) o alle fiere di settore.
Ho sentito dire (perché io non le ho mai provate, avendo una tradizionale Weissenrieder) che le chitarre d’avanguardia (Vaghi, Smallman, Dammann) hanno un timbro, diciamo così, insolito. Per alcuni è un pregio, per altri un difetto. Inoltre, chi suona brani caldi, intimisti, vellutati, ma vorrebbe anche una buona corposità acustica, trova nelle chitarre Vaghi la quadratura di questo cerchio? Grazie.
Buongiorno, il consiglio è, ovviamente, quello di provare una chitarra di Vaghi recandosi da lui. Se non è comodo dal punto di vista logistico bisognerà aspettare (ahinoi) che si ricominci a partecipare a fiere ed esposizioni di settore. L’argomento non può essere trattato a parole. Trovo, personalmente, che le chitarre di Vaghi siano molto reattive e per questo versatili. Avverto Vaghi della sua richiesta per avere eventualmente una risposta qui direttamente da lui. La saluto cordialmente. Max Pontrelli.