CRISTINA FROSINI.
LA SFIDA DEL CONSERVATORIO DI MILANO

di Piero Chianura

Con circa 1.700 studenti iscritti, il Conservatorio di Milano è di fatto la più grande Università della musica in Italia. Sono infatti quasi 1.200 i corsi accademici che costituiscono l’offerta formativa di questa storica istituzione, in conseguenza del nuovo ordinamento che dal 1999 assegna proprio ai Conservatori il compito di rilasciare il diploma di laurea di 1º e 2º livello in musica. La direzione di Cristina Frosini, al suo secondo mandato per il triennio 2019-2022, ha impresso al Conservatorio di Milano una svolta storica. Ha cioè aperto le porte del Giuseppe Verdi al mondo esterno, collegando le attività didattiche alla realtà, quella con cui gli studenti dovranno fare i conti una volta concluso il loro percorso di formazione. *

Mettere in relazione il percorso di studio con il mondo del lavoro è ancor più fondamentale oggi, vista la varietà delle professioni che l’attuale mercato della musica prevede in ambiti e generi di ogni tipo, ben oltre la tradizionale figura dell’orchestrale. Ora, la sfida di una istituzione così grande è riuscire a formare differenti professionisti della musica al massimo livello di preparazione possibile, che si tratti di classica, elettronica, jazz o pop-rock, la più recente area di sviluppo dell’offerta formativa.

MusicEdu La formazione pop-rock portata all’interno di un’istituzione prestigiosa come il Conservatorio dovrebbe garantire elevata qualità della didattica e, al tempo stesso, docenti di alto profilo.

Cristina Frosini La nostra volontà è quella di fare in modo che la qualità della nostra formazione sugli strumenti classici copra a 360 gradi tutti gli altri ambiti musicali. Non formiamo solo solisti o professori d’orchestra, ma anche figure professionali provenienti da altre discipline che hanno a che fare con la musica, per esempio legate al mondo del cinema o della letteratura e che magari si stanno laureando contemporaneamente in altre Università. Abbiamo messo in campo la nostra autorevolezza, costruita in più di 200 anni di storia, sia quando abbiamo aperto al jazz nel 2000, che conta oggi 14 cattedre in organico, ma ancor più nel pop, dove l’obiettivo non è “avere più studenti”, benché vi sia una forte richiesta di iscrizioni ovvia per questo genere musicale. Significa invece offrire a studenti selezionati una formazione garantita da una docenza di qualità, che ha l’obiettivo di fornire non solo adeguate competenze, ma anche la consapevolezza che non ci si possa limitare solo alla conoscenza del proprio strumento. Penso, per esempio, ai nostri corsi di organizzazione o promozione dello spettacolo dal vivo, fondamentali perché non tutti gli studenti che si diplomeranno in pop faranno i musicisti.

ME Vista la categoria del tutto nuova, come avete scelto i docenti dei corsi pop rock e come avete assegnato i punteggi in graduatoria?

CF Abbiamo fatto noi le graduatorie basandole su punteggi ricavati soprattutto da titoli artistici. Tutti i docenti scelti avevano alle spalle decine e decine di tourneé con i più grandi artisti pop rock, il che ci ha permesso di avere i migliori strumentisti italiani. La selezione dunque c’è stata ed è stata anche di livello.

ME Si dice però che un grande musicista non sia automaticamente anche un grande didatta…

CF In questo ambito, pochi docenti hanno avuto l’occasione di insegnare in strutture pubbliche riconosciute perché è da poco che i Conservatori si sono aperti al pop. Pochissimi di loro avevano un diploma, ma non dimentichiamo che anche noi della classica all’inizio potevamo entrare a insegnare senza diploma. E poi quasi tutti avevano insegnato in scuole private, avevano una loro scuola o avevano pubblicato un loro metodo didattico, quindi già sapevano cosa volesse dire insegnare.

ME Nel pop non basta essere tecnicamente preparati sul proprio strumento, ma è quasi più importante essere pronti a suonare in ogni contesto.

CF Da quando dirigo il Conservatorio ho sempre dato grande importanza al momento performativo, sia nella musica classica, sia nel jazz che nel pop, perché ci si può formare in classe, ma poi bisogna anche saper stare sul palcoscenico. Non è un caso che a Milano abbiamo una vera big band come la Verdi Jazz Orchestra (tra l’altro siamo anche sede dell’orchestra nazionale jazz dei conservatori), una banda degli ottoni e una nostra orchestra sinfonica in cui si entra per audizione. L’orchestra sinfonica del Conservatorio è una realtà unica in Italia per qualità, ma anche perché è molto difficile che un Conservatorio riesca ad avere un’orchestra sinfonica formata solo da studenti e soprattutto selezionati. Avendo grandi numeri e studenti preparati, siamo riusciti a comporla due anni fa riuscendo a fare delle produzioni con direttori di eccellenza come Roberto Abbado o Michele Mariotti. Nel pop abbiamo diversi gruppi che stanno lavorando per il concerto della festa della musica del 21 giugno, che sarà anche l’esame di organizzazione dello spettacolo dal vivo, il corso in cui ha insegnato Alessandro Daniele, figlio di Pino, che prevede il contributo degli studenti all’organizzazione di questo spettacolo. Quello che vogliamo è la scuola sul campo.

ME Puntate così tanto sull’esperienza performativa che il vostro programma è denso di appuntamenti concertistici.

CF Ormai siamo diventati il luogo di Milano che produce più eventi, dopo il teatro alla Scala. Siamo a circa 200 l’anno e non si tratta di saggi! All’interno della nostra struttura c’è un istituto di musica moderna e contemporanea (M2C) che produce eventi legati alla musica contemporanea in collaborazione con grandi festival. Non si tratta dunque solo di musica classica tradizionale o antica, ma anche di ambiti che ci permettono di far lavorare gli studenti coinvolgendoli in seminari su tecniche estese che diano loro un approccio moderno allo strumento.

ME Quali altri progetti speciali avete attivato?

CF Tengo molto a segnalare il progetto “Far Musica e Star Bene”. L’ho voluto fortemente tre anni fa perché il musicista, come l’atleta, è sottoposto a un carico di lavoro che può portare anche a malattie professionali. Grazie a questo progetto, tra i più avanzati a livello europeo, gli studenti hanno la possibilità di frequentare corsi serali di mindfulness, biodanza, tecnica Alexander, Feldenkrais e yoga, così da per poter affrontare meglio gli stress, migliorare la postura e saper riconoscere e prevenire eventuali patologie.

ME Tutti questi corsi e queste attività hanno portato alla richiesta di nuovi spazi, giusto?

CF Sì. Si tratta del progetto Rogoredo, il primo campus della musica che prevede uno studentato con circa 200 posti letto, un auditorium ed è destinato agli studenti di nuove tecnologie, quindi pop, jazz e musica elettronica. Stiamo lavorando con il Politecnico di Milano per far diventare realtà questo sogno, pensiamo nel 2022.

ME Come viene garantito il finanziamento di tutte queste attività?

CF I fondi ministeriali non sono sufficienti, quindi partecipiamo a bandi e cerchiamo sponsorizzazioni, come quella che abbiamo avuto lo scorso anno da CheBanca! Ci sono le tasse pagate dagli studenti e anche qualche libera elargizione da parte di privati, ma se ci fosse qualche impresa privata che volesse credere in noi, ne saremmo lieti.

* Intervista realizzata a poche ore dall’emanazione del DPCM del 23/02/2020 che ha sospeso le attività didattiche in presenza.

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