IL CABLAGGIO SU MISURA. LE REGISTRAZIONI DI “THE DEVIL CALL” DI PINO SCOTTO

Noto soprattutto in contesti metal, il chitarrista, cantante, compositore e produttore italiano Steve Angarthal ha ampie competenze musicali e tecniche, che spaziano dalla direzione orchestrale al sound enginering. Storico collaboratore dell’istrionico Pino Scotto, Steve ne ha prodotto, registrato e mixato il nuovo disco. Il lavoro si è svolto all’interno del suo studio cablato a regola d’arte da Reference Cable, dove ha potuto ricreare i timbri e le dinamiche blues che ne caratterizzano il sound.

L’idea artistica di un disco e la sua realizzazione determinano una serie di scelte ben codificate e riconosciute a livello tecnico. Sono scelte che partono dal tipo di sound che si vuole ottenere per arrivare a decidere quali strumenti e musicisti saranno di conseguenza necessari.
Spesso però si danno inconsapevolmente per scontate alcune di queste scelte, come per esempio il tipo di cablaggio utilizzato per le registrazioni. Quali cavi vengono usati dal musicista per trasferire il suono del suo strumento al mixer senza perdite qualitative sul segnale? Su quale tipo di cablaggio si basa il lavoro del fonico di studio ed è questo cablaggio in grado di preservare ciò che il musicista ha preparato prima di registrare?
Nella produzione del disco The Devil Call di Pino Scotto, Steve Angarthal ha avuto il doppio ruolo di musicista e fonico ed è stata proprio questa duplice responsabilità a poter garantire una produzione artisticamente e tecnicamente coerente dalla sorgente al mix.

Steve Angarthal

MusicEdu Partiamo  dal progetto artistico. Come è nata l’idea di un disco blues a due “metallari” come voi?
Steve Angarthal Da tempo Pino Scotto aveva in cantiere l’idea di fare un disco blues e anche io negli ultimi anni ho fatto un percorso di recupero delle radici, per così dire, allontanandomi dal mondo metal di oggi, che non mi emoziona così tanto come quello vecchia scuola. E siccome in repertorio ho anche uno show di rivisitazione dell’evoluzione del blues dalle origini fino al periodo della Londra anni ’60-70, la decisione di produrre il disco blues di Pino è stata presa con entusiasmo.

MusicEdu Pensando alla vocalità blues, immagino che con gli anni la voce di Scotto sia migliorata… con l’età la voce rivela molto di più l’anima di una persona.
Steve Angarthal Per certi versi è vero e, anche se nello scrivere le canzoni e poi nel registrarne le voci c’era comunque la nostra eredità e il nostro DNA da “rockettari selvaggi”, questo non ci ha comunque “confusi” anche quando magari l’istinto ci avrebbe potuto portare in una direzione più heavy. Non è comunque un disco di blues tradizionale, ma un disco crossover fatto da due musicisti che hanno inevitabilmente un imprinting metal, pur essendo legati ciascuno a suo modo alla storia del blues.

MusicEdu Qual è stato il vostro approccio alla produzione del disco?
Steve Angarthal Nella fase di scrittura dei brani, in qualche caso ho fatto due o tre arrangiamenti diversi proprio con la consapevolezza del fatto di non essere esattamente degli artisti blues al 100%, ma musicisti con un’identità sonora e stilistica propria. Quando poi Pino mi ha chiesto di curare anche la produzione tecnica del disco ci siamo confrontati sulla modalità di registrazione, perché in realtà il blues, come anche la maggior parte delle produzioni rock fino agli anni 70, avrebbe dovuto prevedere la classica situazione in cui si registra l’intera band che suona tutta insieme, per due o tre giorni di lavoro senza troppe complicazioni. Ma si tratta di una situazione oggi praticamente irriproducibile. Da fonico ho avuto la possibilità di registrare orchestre e  anche di dirigerne alcune. Quindi ho un background abbastanza vario sui generi. Ma con Pino abbiamo deciso che se anche il nostro sarebbe stato un disco blues, lo avremmo comunque realizzato come tutti gli altri che abbiamo prodotto e cioè in multitraccia, con sessioni di registrazione separate. La prima sessione è stata quella con Sergio Ratti alla batteria che ho cercato di condurre tenendo ben presente la scrittura dei brani, visto che non erano presenti in sala gli altri musicisti. Lui aveva una batteria Gretsch degli anni 60 e quindi avevamo un suono di partenza perfetto, che abbiamo registrato all’Octopus Studio, più adatto per la ripresa della batteria acustica e, tra l’altro, anche quello cablato con cavi Reference RIC S01 e banco analogico Allen&Heath. In generale, abbiamo lavorato molto sulla ripresa microfonica tenendo i suoni il più possibile puliti fino al mix.

MusicEdu Una produzione del genere era “pane per i denti” di Reference Cables, verrebbe da dire. Visto che il timbro delle sorgenti acustiche doveva essere preservato fino al mixaggio e i cavi Reference hanno proprio questo obiettivo, raggiunto dopo anni di ricerca approfondita su quella che il marchio definisce “la cura del suono”.
Steve Angarthal Sì perché quando lavoro in analogico, preferisco fare un bel suono senza caricarlo troppo, tenendolo il più acustico possibile. Per esempio, la gran cassa della batteria, che in genere caratterizza molto il sound di un brano, è stata ripresa con quattro microfoni diversi proprio per tenere aperta la possibilità di avere più timbriche da gestire nel mix, senza dover intervenire in digitale sull’equalizzazione. Anche i tom e il rullante sono stati registrati con un doppio microfonaggio oltre alla ripresa over head in ambiente. È in questo modo che alla fine abbiamo raggiunto il giusto bilanciamento tra le classiche timbriche blues e quelle hard rock da cui proveniamo.

La ripresa della batteria acustica

MusicEdu Per quanto riguarda invece la registrazione degli altri musicisti?
Steve Angarthal Dopo aver registrato la batteria, ho suonato io tutti i bassi definitivi usando un basso elettrico Molinelli e un Ibanez a cinque corde registrati in diretta con una DI stereo e cavi Reference RIC 01 in uscita dallo strumento e RMC 01 per il collegamento bilanciato dalla DI, a volte combinato con il cavo RMC 0 ZERO, che aggiunge un piccolo effetto loudness al suono.

MusicEdu Quando vai con il basso diretto nel mixer senza passare dall’amplificatore, sono i cavi a fungere da “filtro” del suono, cioè a determinare il timbro dello strumento, che in questo caso rimane integro nel suo contenuto armonico e senza disturbi. E dalle tue parole percepisco bene questa consapevolezza.
Steve Angarthal Pur non avendo un grosso studio, da quando ho iniziato la collaborazione con Reference, cablando tutto lo studio con i loro cavi, ho potuto comunque impostare le cose in modo da ottenere il massimo della qualità possibile. In pratica, anche se non ho preamplificatori valvolari da 3-4.000 euro, so però che se le sorgenti del suono, gli strumenti, sono di qualità e se il cablaggio è fatto come si deve, con la tecnologia che abbiamo oggi si possono fare buone produzioni.

MusicEdu Per quanto riguarda i contributi degli altri musicisti, invece?
Steve Angarthal C’è stato chi ha registrato in analogico attraverso l’amplificatore e che ha utilizzato virtual instrument, mandandomi poi le parti. In ogni caso ho cercato di valorizzare quello che mi hanno mandato senza metterci mano. Considera che ho comunque deciso di suonare io tutte le chitarre ritmiche per dare al disco un’impronta rock moderna, attraverso la sezione batteria, basso e chitarre ritmiche. In questo modo avevo un’omogeneità di base su cui inserire  le parti degli altri musicisti, ciascuno con la propria personalità sonora.

MusicEdu Come hai registrato le tue chitarre?
Steve Angarthal In studio mi sono costruito anni fa una isobox dentro la quale ho potuto registrare a volumi elevati le mie chitarre Molinelli e ho un paio di Strato, una vintage degli anni ’70 e una degli anni ’90, usando un amplificatore Mezzabarba e un Mesa Boogie. Ho anche usato chitarra acustica, ukulele, una vecchia mandola a 12 corde, stranissima e introvabile.

MusicEdu Anche la voce di Pino Scotto l’hai registrata in studio?
Steve Angarthal Sì, l’ho registrata in studio da me. Ultimamente sto rivalutando i microfoni dinamici. Da fonici, ci si innamora quasi subito dei condensatori perché hanno tutta una serie di caratteristiche che li rendono superiori. Però sulle chitarre da un po’ di tempo preferisco usare microfoni dinamici Sennheiser e Audix, coi quali faccio un po’ di esperimenti. Per esempio, ho ripreso le chitarre ritmiche con quattro microfoni posizionati su tutti i coni dell’amplificatore e poi mixati. Mentre per le parti soliste ho deciso di riprendere i coni che mi interessavano, nello specifico i Greenback, per andare a cercare di valorizzare quel timbro. Sulla voce di Pino ho fatto una cosa simile, ma usando un vecchio condensatore Groove Tubes insieme a un microfono Audix i5, un dinamico simile a uno Shure SM57, ma dal suono più profondo più adatto alla voce, senza voler andare sull’SM58 che per certe vocalità non va benissimo. Ovviamente sono stato attento alle fasi nel momento in cui li ho posizionati davanti al cantante. In questa combinata, ho utilizzato cavi Reference RMC 0 ZERO e RIC S01 adatto all’uso professionale in studio di registrazione. Tutti i cori invece li ho registrati usando i condensatori senza doppia ripresa microfonica perché ci sono dei punti in cui abbiamo 8-10 voci che si muovono contemporanee sulla voce principale e non era il caso di complicare.

MusicEdu Nella tua posizione di fonico e chitarrista al tempo stesso, la relazione tra musicista che ha la paternità del suono e il tecnico che deve usare tutti gli strumenti per preservarne le caratteristiche durante la registrazione è implicita.
Steve Angarthal Per me è una condizione naturale. Perciò quando ho conosciuto Angelo Tordini di Reference, ho finito per amare il suo lavoro, apprezzandone i prodotti e utilizzandoli in tutte le situazioni in cui posso farlo. È chiaro che da musicista ci sono situazioni in cui, soprattutto dal vivo, non ti è permesso di andare dal fonico per chiedere di usare un tuo cavo per entrare nella stage box, ma ci provo tutte le volte che trovo disponibilità e volontà di collaborare.

MusicEdu Comunque quando un musicista ha la consapevolezza di quanto sia importante scegliere il cavo adatto per il proprio strumento, trova naturale poi chiedere di preservarne le doti fino al mixer, sia in studio sia dal vivo.
Steve Angarthal Sotto questo aspetto tutto il cablaggio della mia chitarra è frutto di anni di ricerca proprio grazie ai cavi che Angelo mi ha dato nel corso degli anni. Il mio suono di chitarra è fatto con il RIC 01, quello blu per intenderci. La pedaliera è invece cablata in due modi diversi, cioè tutti i pedali che stanno di fronte all’ampli utilizzano sempre il RIC 01, mentre la sezione degli effetti, quella collegata all’insert dell’amplificatore nel contesto live, perché in studio non uso sempre l’effettistica, utilizzo il RIC 43 FX, quello più piccolo e molto più comodo come soluzione per le pedaliere. Si tratta in pratica di un cavo multicore Reference QUATTRO che comprende in un’unica guaina quattro cavi: Send, Return, Out e Midi per il cambio canale. Sul basso dipende dalle parti: talvolta uso il RIC 01 e altre volte il RIC S01R rosso.

La pedaliera cablata con gli effetti usati da Steve Angarthal sulle chitarre di The Devil Call.

MusicEdu Dove hai finalizzato il master del disco?
Steve Angarthal Registrazioni e mix a 48 kHz e 24 bit li ho fatti tutti in studio da me su Studio One di Presonus, usando plugin vari di ultima generazione, soprattutto rievocazioni di outboard vintage, come i vari SSL, Neve ecc. Poi siamo andati a fare il mastering da Alberto Cutolo al Massive Art di Milano su Protools. La cosa interessante è che quando registri in questo modo, cioè usando molto la ripresa microfonica e un cablaggio coerente, non hai delle perdite di segnale quando poi vai a mixare. Una cosa sulla quale io faccio molta attenzione è limitare l’uso dei compressori perché, anche se il rock è un genere che tende ad abusarne, io cerco di far respirare la musica. A volte certi dischi sono quasi bidimensionali e più sono aggressivi più mancano di profondità. Invece a me piace ragionare su come far incastrare ogni strumento senza abusare troppo dello spazio sonoro a disposizione. Perciò, poter registrare bene un segnale con tutta la sua dinamica, ti permette poi eventualmente di fare delle scelte anche più creative.

Info: Steve Angarthal

L’OPINIONE DI ANGELO TORDINI DI REFERENCE CABLES
L’esperienza di Steve Angarthal, come quella di molti altri musicisti e tecnici di studio che considerano il cablaggio di qualità una scelta imprescindibile per la cura del loro suono in studio di registrazione, aiuta a riflettere sull’influenza dei cavi (bilanciato, sbilanciato, di potenza e di alimentazione) sul risultato sonoro. Il cavo è uno strumento fondamentale per limitare la perdita di dati sull’intero spettro delle frequenze e minimizzare i disturbi dai campi magnetici. È nella natura di ogni cavo comportarsi dapprima come un’antenna “acchiappa disturbi” e poi come un filtro che agisce irreparabilmente sulle caratteristiche del suono, proprio come farebbe un equalizzatore semi parametrico.

La “ricerca del suono” da parte di ogni artista prevede naturalmente la scelta di una strumentazione adeguata all’ottenimento di quel suono, ma quella che io definisco “la cura del proprio suono” passa dalla scelta di un cablaggio dedicato su ciascun elemento di quella strumentazione, in modo da evitare che il suono venga stretto nel “collo di bottiglia” di un cavo inadeguato. La “cura del suono” è la “prova del nove” per ogni musicista in solo o in una band perché  permette agli armonici di trasferirsi intatti da ogni sorgente sonora fino al mixer e poi sistema di diffusione audio, consentendo così al fonico di ricevere tutte le informazioni necessarie per il mix ed evitare così interventi di “ricostruzione” attraverso l’uso dei processori di dinamica. Si sentirà così la dinamica e il timbro originali di ogni strumento sia esso solista o parte di una band in cui ogni elemento sarà percepito chiaramente all’interno del suono collettivo.

Info: Reference Cables

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