INCERTEZZA GLOBALE.
LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE NEL MONDO

Con la chiusura delle scuole che dal mese di aprile ha coinvolto gran parte del mondo, 1,5 miliardi di studenti sono stati costretti a restare in casa. Questa misura ha contribuito a rallentare la diffusione del virus ma, con il passare del tempo, i pediatri e gli insegnanti hanno cominciato a preoccuparsi del fatto che la chiusura delle scuole possa produrre alla lunga più danni che benefici.

È stato il Royal college of paediatrics and child health del Regno Unito (Rcpch) a dichiarare, in una lettera firmata da circa 1.500 medici, che una chiusura prolungata delle scuole rischia “di compromettere la crescita di un’intera generazione di ragazzi” sia perché la didattica a distanza è ben poca cosa rispetto a quella in classe, sia per le difficoltà incontrate dalle famiglie a riorganizzare il proprio sistema di vita. Nel mondo, inoltre, sono ancora troppi i bambini delle famiglie più povere che dipendono dalle strutture scolastiche per i pasti quotidiani, ma anche per la qualità delle relazioni sociali, spesso molto compromesse all’interno del nucleo famigliare. Così, all’inizio di giugno una ventina di Paesi ha deciso di riaprire le scuole (nazioni come Taiwan, Nicaragua e Svezia non le hanno mai chiuse), in alcuni casi ponendo forti limitazioni al contatto tra i bambini, in altri lasciando che gli alunni giocassero liberamente, con mascherine obbligatorie o facoltative. Alcune scuole hanno chiuso temporaneamente in presenza di un contagio, mentre altre sono rimaste aperte, limitandosi a imporre la quarantena agli infetti e ai contatti più stretti.

Negli Stati Uniti, lo studio di alcuni esperimenti di riapertura ha dato risultati deludenti. Nelle scuole di Nashville frequentate da più di 86mila studenti, si è cercato per esempio di capire se gli studenti più giovani fossero in grado di trasmettere più difficilmente il virus o se dopo le riaperture potessero nascere focolai, ma si sono ricavati ben pochi elementi utili a valutare il rischio di contagio all’interno delle scuole. Analizzando invece le strategie per la riapertura in altri Paesi, dal Sudafrica alla Finlandia, passando per Israele,  la rivista Science ha scoperto alcune tendenze incoraggianti, che hanno certamente aiutato anche il nostro stesso Governo a prendere decisioni in merito e cioè che la combinazione di obbligo della mascherina, divisione degli studenti in piccoli gruppi e rispetto del distanziamento fisico riesce effettivamente a garantire la sicurezza delle scuole (e delle comunità). Ovviamente, la sicurezza dipende anche dalla diffusione del virus in ciascun Paese, ma per ora, grazie anche a qualche modifica organizzativa da parte delle strutture scolastiche, i benefici sembrano superare i rischi, almeno dove i tassi di contagio sono bassi e le autorità s’impegnano a individuare e isolare velocemente le persone infette e i loro contatti più stretti.

Attualmente, su un punto tutti concordano: gli under 18 hanno poco meno della metà delle probabilità di contrarre il virus, rischio che è ancora più basso per i più piccoli, anche se non ne conosciamo bene i motivi. I Paesi che hanno riaperto le scuole hanno basato le loro decisioni proprio a partire da questo punto. Il primo Paese europeo a riaprire ad aprile è stato la Danimarca, che ha diviso i bambini in piccoli gruppi. Durante la ricreazione questi gruppi potevano poi riunirsi con soluzioni che dessero più spazio e aria con lezioni anche al di fuori della scuola. Lezioni in altri luoghi, per garantire la distanza tra gli studenti, anche in Belgio. Nei Paesi Bassi le scuole hanno riaperto con obbligo di distanziamento fisico tra i minori di 12 anni e classi dimezzate. In Finlandia le classi sono rimaste com’erano, ma con divieto di interagire. A partire da maggio molti altri Paesi hanno rivalutato il distanziamento all’interno delle scuole. Il Québec ha annunciato che in autunno permetterà ai bambini di interagire liberamente in piccoli gruppi, purché a distanza di un metro l’uno dall’altro e di due metri dagli insegnanti. In Francia gli asili hanno cancellato tutte le regole di distanziamento per i minori di cinque anni, mentre gli alunni più grandi sono invitati a tenersi a un metro dai compagni nei locali della scuola. In Olanda chi ha meno di 17 anni non dovrà tenere alcuna distanza.

Queste aperture non sono basate solo sui consigli dei pediatri, ma anche su considerazioni che riguardano spesso il ridotto spazio a disposizione per il distanziamento nelle classi. Per questa ragione Israele è arrivata a riaprire le scuole con le consuete classi da 30-40 alunni e una strategia protettiva alternativa: le mascherine.
Proprio sull’obbligo delle mascherine per i ragazzi si è acceso il dibattito anche in Italia. Il loro uso, per quanto scomodo e non sempre fatto correttamente dai più piccoli, porta però al rallentamento dei contagi nelle scuole, soprattutto quando il distanziamento è difficile da attuare.

Ci sono Paesi come la Cina, la Corea del Sud, il Giappone e il Vietnam, in cui l’uso delle mascherine è già diffuso tra la popolazione durante la stagione dell’influenza. Qui le scuole le hanno imposte a quasi tutti gli studenti e gli insegnanti. Nelle scuole cinesi possono essere rimosse solo durante il pranzo e quando gli alunni sono separati tra loro da barriere di vetro o plastica.
In Europa il ruolo delle mascherine non è giudicato sempre importante. In Germania si usano a scuola solo in caso di mancato distanziamento. L’Austria ne ha eliminato l’obbligo quando è apparso evidente che il contagio negli istituti era minimo. In Svezia l’uso delle mascherine è facoltativo sia per gli alunni sia per il personale. 
Nei Paesi più poveri del mondo, dove non tutti possono permettersi l’acquisto di mascherine, le scuole accolgono gli studenti che non le indossano oppure si adoperano per fornirle gratuitamente a chi ne ha bisogno. Ma questi Paesi esiteranno a riaprire le scuole se la pandemia non passerà.
In Israele, quando un’insolita ondata di caldo ha reso insopportabile l’uso delle mascherine, il governo ha autorizzato gli studenti e gli insegnanti a farne a meno per alcuni giorni. Non sarà stato un caso che dopo un paio di settimane ci sia stata un’impennata di contagi nel Paese.

E in caso di contagi nelle scuole, come si sono comportati i diversi Paesi? In assenza di certezze scientifiche, si cerca di limitare al massimo l’interruzione delle lezioni. In Germania, per esempio, restano a casa in quarantena solo i compagni di classe e gli insegnanti di un alunno contagiato. A Taiwan, Paese nel quale il virus appare debellato, le scuole sono rimaste aperte anche in presenza di un caso positivo. 
Ovunque, i test a tappeto nelle scuole, anche sui bambini senza sintomi, possono aiutare le autorità a scegliere la soluzione migliore. Nel Regno Unito è prevista l’analisi ripetuta di campioni raccolti in diverse scuole materne, elementari e medie per almeno sei mesi, per verificare la presenza sia del virus sia degli anticorpi. In alcune aree della Germania verranno analizzati periodicamente i campioni di studenti e dipendenti di un certo numero di scuole. Anche se non sono stati riscontrati casi di decessi o forme gravi di covid-19 tra il personale scolastico, molti insegnanti e dipendenti delle scuole sono comprensibilmente preoccupati dall’idea di tornare in classe. In Svezia, dove le scuole non hanno modificato la composizione delle classi né preso precauzioni rilevanti, diversi insegnanti sono morti a causa di complicanze legate al covid-19, anche se potrebbero averlo contratto altrove. I dati raccolti in Europa evidenziano in generale bassi rischi per la comunità a seguito della riapertura delle scuole con le dovute precauzioni, almeno nei luoghi dove il tasso di contagio è contenuto. In Danimarca, nei Paesi Bassi, in Finlandia, Belgio e Austria non c’è stato un aumento dei casi dopo il ritorno a scuola, anche se l’apertura degli istituti in altri Paesi ha modificato la proporzione dei contagi rispetto all’età, provocando un aumento dei casi tra i bambini.

L’incertezza sul futuro porta ciascun governo a scommettere su soluzioni diverse per la ripresa autunnale, ma ovunque vengono progettati modelli ibridi di apprendimento a distanza alternato a lezioni in aula con meno alunni per classe. Molti istituti hanno già imposto il distanziamento fisico evitando la diffusione del virus, ma un numero crescente di scienziati, pediatri e genitori chiede un compromesso che protegga la comunità dal covid-19, ma allo stesso tempo tuteli la salute mentale dei ragazzi, portandoli al più presto alla normalità di una scuola in cui oltre che ad assistere alle lezioni e a studiare, si corre, si gioca, si ride e si comunica con gli altri.

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