FRANCESCA BADALINI. IMPROVVISARE (E COMPORRE) PER IL CINEMA MUTO

di Piero Chianura

L’Istituto di Ricerca Musicale (IRMUS) della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado ha istituito il primo laboratorio di Tecniche di improvvisazione e composizione per il cinema muto destinato a compositori e musicisti. A curarlo è Francesca Badalini, dal 1999 collaboratrice stabile della Cineteca Italiana come pianista accompagnatrice di film muti. Esperienza che l’ha portata negli anni ad affrontare numerosi cine-concerti dal vivo sia in Italia che all’estero e a tenere diversi laboratori e seminari sulle colonne sonore.

Francesca Badalini (foto: Anna Rita Barbarossa)

MusicEdu Come è nata l’idea di avviare in “Civica” un laboratorio di Tecniche di improvvisazione e composizione per il cinema muto?
Francesca Badalini Dopo aver tenuto corsi del genere in vari ambiti e con allievi diversi, dai bambini più piccoli fino ai registi, ho pensato che fosse un peccato che il corso di suono per le immagini della Civica non prevedesse anche una parte dedicata alla sonorizzazione del cinema muto, il cine-concerto, che è anche un’interessante nicchia lavorativa. Così mi sono confrontata con il coordinatore di allora del corso, Massimo Mariani e successivamente con Alessandro Ponti, che ne ha parlato al direttore della Civica. Alla fine siamo partiti quest’anno con un laboratorio finalizzato alla produzione di un cine-concerto rivolto non solo ai compositori per le immagini ma anche agli strumentisti che magari sono avanti negli studi ma non hanno mai improvvisato. Credo sia la prima volta in Italia che un’istituzione propone un corso di improvvisazione e composizione per il cinema muto che fornisce crediti liberi all’interno di un percorso di specializzazione accademica.

MusicEdu Come si è svolto il corso dalla parte teorica fino alla preparazione del cine-concerto che si terrà il prossimo 3 maggio?
Francesca Badalini Nel primo incontro di tipo frontale ho affrontato la storia del cinema muto, da com’era un tempo all’approccio che si può avere adesso, facendo anche vedere dei frammenti di cinema sonoro per far capire le dinamiche che possono essere usate: mickeymousing, sincrono, asincronismo, livello interno-esterno-mediato, funzioni di contrasto-rinforzo-indifferenza, ecc. Dopo aver spiegato che il cinema muto non è solo comico, come io stessa pensavo, ho distribuito film diversi facendo scegliere a loro su quale lavorare e con quale squadra, da soli o in collaborazione con gli altri, in un percorso tra improvvisazione e composizione, in base a quello che ciascuno voleva fare. Parallelamente ho fatto vedere loro i diversi approcci, vecchi e moderni, alle colonne sonore anche per i film che hanno scelto. Poi abbiamo cominciato a fare esercizi e giochi di improvvisazione con e senza immagini, sia in modo spontaneo che usando i cliché, in modo da acquisire la conoscenza degli attrezzi del mestiere insieme alla capacità di improvvisare liberamente seguendo le proprie sensazioni. Alla fine del percorso creeremo il vero e proprio cine-concerto formato dai singoli spezzoni su cui ognuno suonerà usando i propri timbri insieme a quelli degli altri, quando previsto, improvvisando o componendo.

Laboratorio di Tecniche di improvvisazione e composizione per il cinema muto: due momenti delle prove per il cine-concerto finale.

MusicEdu Come hai assemblato il materiale didattico destinato al corso?
Francesca Badalini Nel corso degli anni ho potuto seguire pochi corsi, perché in Italia non ce n’erano tanti, ma comunque molto belli. Dal corso “zero” in civica con Sergio Miceli collaboratore di Ennio Morricone, che raccontava la parte storica a quello di Giovanni Venosta che teneva un laboratorio di composizione, quando già lavoravo nel cinema muto. Poi ho partecipato a diversi seminari organizzati all’interno dei festival di cinema, da quello di Pordenone a quello di Aosta, sempre con insegnanti molto validi e poi alcuni corsi di improvvisazione. Con l’esperienza ho strutturato pian piano il mio corso a vari livelli, con una struttura di base ripensata a seconda di chi mi trovo davanti, perché mi capita spesso di avere classi disomogenee all’interno delle quali devo usare linguaggi e modi diversi per spiegare.

MusicEdu La sonorizzazione dal vivo di film muti è riuscita a fare da collettore per tutti quei musicisti che praticano musiche non convenzionali e che nell’accostamento con le immagini trovano una strada non solo percorribile, ma anche fruibile da un pubblico più ampio.
Francesca Badalini Questo è Il motivo per cui io mi trovo completamente a mio agio in questo ambito. Anche se io vengo da studi classici di pianoforte e poi di composizione, fin da piccola mi è sempre stato stretto limitarmi al dover eseguire alla perfezione partiture di brani classici. Sono sempre stata attratta da altri tipi di musica e suoni. Accanto al pianoforte, da piccola avevo un organo elettronico Bontempi con il quale improvvisavo per puro godimento. Però, pur essendo stata ribelle nei confronti dell’approccio accademico, gli studi classici mi sono serviti tantissimo… anche quando accanto alle lezioni dell’ottavo anno di pianoforte studiavo la chitarra elettrica per suonare in una band di metal. Sono sempre stata un po’ irrequieta e questo ha fatto sì che alla fine io abbia praticato altre strade.

MusicEdu Come sei arrivata a suonare per il cinema muto?
Francesca Badalini Un po’ casualmente. Già componevo avendo sempre l’idea di fondere la musica con le altre arti, la danza, il teatro e seguivo per questo corsi e master per imparare a farlo. Però adoravo anche suonare dal vivo, per cui quando sono arrivata per pura casualità al cinema muto è stato come se avessi trovato il mio mondo, qualcosa che non conoscevo e che mi ha permesso di fare esattamente quello che cercavo e che pensavo non fosse possibile, cioè suonare dal vivo scegliendo il progetto musicale in base al film e usare le mie coordinate per spaziare con i suoni e con i generi. Ma senza avere una libertà sconfinata perché senti la responsabilità nei confronti del pubblico di essere un’interprete delle immagini che mi vengono affidate e così si cerca sempre di essere fedele al film.  Ma tornando alla tua domanda, tutto è cominciato nel 1999 quando seguivo lettere antiche all’università. C’era un mio compagno di corso, anche lui diplomato in pianoforte, che aveva deciso di smettere di suonare per fare il ricercatore. Così, un giorno mi disse che la Cineteca Italiana cercava un pianista e che non essendo lui disponibile proponeva a me di andarci al posto suo. Io ci andai convinta che mi avrebbero chiesto di eseguire brani di musica classica durante le proiezioni di un film. Invece, quando incontrai Gianni Comencini, allora direttore della Cineteca, e Matteo Pavesi, attuale direttore, mi sentii dire che se volevo quel posto, avrei dovuto suonare la sera stessa improvvisando sulla proiezione di un cortometraggio in programma allo Spazio Oberdan di Milano. Rimasi scioccata perché non sapevo nulla di cinema muto e non avevo ancora mai improvvisato davanti al pubblico. Così cominciai a pensare a delle scuse per non accettare… ma al tempo stesso la sfida mi attirava, e così alla fine dissi di sì. Ricordo che la sala era piena perché erano tutti lì in attesa del film previsto dopo il cortometraggio di 20 minuti su cui avrei dovuto suonare io: De Brug (Il Ponte) di Joris Ivens del 1928, un tema per nulla facile da seguire con il pianoforte perché molto “tecnologico”. Fatto sta che è stato l’inizio di un sodalizio con la Cineteca Italiana che dura da più di vent’anni.

MusicEdu In quel periodo hai cominciato a improvvisare anche fuori dalle proiezioni?
Francesca Badalini Sì perché una volta che ho preso la mano ho cominciato a capire qual era la bellezza dell’improvvisazione radicale sui film, che allora non faceva quasi nessuno, perché i pianisti cucivano dei raccordi tra un tema e l’altro. Sentirsi nudi davanti al film senza avere l’idea di essersi preparati qualcosa è diventata per me una seconda pelle e quindi ho cominciato a lavorare sia con altri musicisti, sia con attori in teatro e con la danza.

MusicEdu Hai fatto un percorso di improvvisazione radicale dopo tanti anni di musica classica mentre di solito sono i musicisti autodidatti o provenienti dall’elettronica o dal jazz a praticare questo tipo di improvvisazione. Immagino che debba essere stata una gioia per te esserti liberata per andare in territori totalmente nuovi, ma avendo prima acquisito la padronanza tecnica sullo strumento.
Francesca Badalini L’improvvisazione è lo specchio della propria formazione. Si improvvisa in maniera diversa in base alla propria formazione. Non si improvvisa mai totalmente a caso perché ci si porta dietro il proprio bagaglio e con l’esperienza si riesce a esplicitarlo in tempo reale, peraltro senza riuscirci sempre perché si può anche sbagliare. Quando si improvvisa sulle immagini, queste fanno un po’ da paracadute: da un lato ti stimolano e dall’altro spostano il focus dal musicista allo schermo, il che è più semplice per i ragazzi che cominciano a studiare. Tengo questi corsi per tutte le età e per tutti i livelli perché sono dell’idea che sia sempre stimolante fare scoprire il lato improvvisativo, anche a bambini che non sanno suonare uno strumento. Uno step successivo del corso prevede l’improvvisazione con musicisti che magari non sanno leggere lo spartito, ma con i quali funziona a meraviglia. In Civica, poi, lavoro con musicisti che hanno un livello superiore di preparazione. Insomma, in base al materiale umano che ho davanti riesco a stimolare in modo diverso la risposta creativa di ciascuno alle immagini proiettate. La capacità di rispondere in tempo reale credo sia una dote naturale che, per esempio, ritrovo spesso in un bambino o in un adulto senza una formazione solida, quando riesce ad azzeccare il timing giusto e l’idea giusta magari con pochi mezzi. Uno dotato di tanti mezzi non è detto che trovi sempre la soluzione musicale più funzionale alle immagini perché gioca molto di più la sensibilità personale.

MusicEdu È la relazione primordiale, quella che passa tra l’immagine che arriva e la risposta emotiva che il musicista trasforma spontaneamente in suono…
Francesca Badalini Hai detto la parola giusta: primordiale. Se usi solo la tecnica e non la tua sensibilità emotiva potresti non riuscire a trovare quel legame tra immagini e suono. Poi, se vuoi, puoi accedere a tutte le tue competenze per migliorare il tutto, e più frecce hai al tuo arco, maggiori soluzioni riesci a trovare mentre improvvisi. Personalmente ho potuto sfruttare sia i miei studi di composizione sia le mie esperienze extra nel rock metal per allargare il mio linguaggio e la mia tavolozza timbrica. E quando mi sono resa conto che in certi film non mi bastavano le conoscenze classiche di armonia, ho cominciato a studiare pianoforte jazz, scoprendo i modi e gli accordi più complessi. 

Francesca Badalini (foto: Anna Rita Barbarossa)

MusicEdu Immagino che nel corso parlerai anche di quanto sono importanti i silenzi…
Francesca Badalini Ah certo! Del coraggio di quanto sia importante lasciare i silenzi nel cinema muto. La gestione del silenzio è difficilissima perché hai un tessuto sonoro onnipresente in cui il silenzio lascia di sasso. Quindi bisogna capire bene dove metterlo.

MusicEdu Avere un riferimento visivo aiuta i musicisti più “indisciplinati” a essere più attenti al pubblico e meno al proprio ego?
Francesca Badalini Intanto suonare con le immagini toglie tanti rischi, il primo dei quali è la ripetitività, perché quando si improvvisa senza immagini si tende a suonare troppo a lungo le idee o si prendono strade astruse. Un altro rischio quando si suona da soli è diventare sterili. Per questo è preferibile suonare con altri musicisti per passarsi degli stimoli e gestire i vuoti creativi che ciascuno di noi ha dentro di sé. A livello di percezione, il pubblico sta comunque guardando il film e spesso ce lo dimentichiamo mentre stiamo improvvisando. E quello che il pubblico percepisce della nostra musica è diverso da quello che percepiamo noi che la stiamo suonando. Dobbiamo anche capire quando è il caso di usare linguaggi diversi. Quando ho cominciato a comporre e non improvvisare, mi sono spostata da un linguaggio meramente classico a una dimensione sonora più intrigante per me, senza però stravolgere tutto per forza. Sono i film a stimolare la dimensione sonora. Per esempio l’Inferno della Divina Commedia di Dante prodotto dalla Milano Films che eseguiamo con l’ensemble de I Sincopatici insieme all’attore/cantante Claudio Milano è stato uno dei miei lavori più sperimentali. È nato in sala prove da stimoli provenienti da tutti e quattro i musicisti e con  un uso della voce abbastanza inconsueto per la sonorizzazione di un film muto. Il film è del 1911 ed è piuttosto visionario, con le prime scene di massa della cinematografia. Così abbiamo creato una partitura ricca di colori e in questo caso ho usato anche l’elettronica. Quando invece avevo deciso di sonorizzare Metropolis di Fritz Lang ho messo in campo l’esperienza acquisita quando suonavo la chitarra elettrica in una band con cui facevamo metal progressive/ghotic. Ho preferito suonare la chitarra oltre che il pianoforte perché quel film ha un afflato metal e ho pensato le musiche in chiave rock. Anche per Nuova Babilonia di Grigory Kozintsev con musiche di Shostakovich, abbiamo preso la partitura orchestrale riscrivendola per pianoforte, violino, percussioni/batteria, basso e chitarra elettrica. Insomma, ogni film è anche un progetto musicale a sé che richiede una specifica idea di suoni e strumenti.

MusicEdu Il suono elettrico è uno degli stereotipi sonori della rivoluzione industriale. E la musica da film vive di stereotipi…
Francesca Badalini Quando lavoro con registi contemporanei gli stereotipi me li chiedono proprio. Come ci ha insegnato Nino Rota, usare uno stereotipo non significa creare qualcosa di non personale, perché il mio modo di usare uno stereotipo è diverso da quello di un altro musicista. Inoltre, nel film muto puoi anche giocare con il film ribaltandone la visione. Ai ragazzi racconto la storia del cinema facendogli ascoltare esempi di stereotipi del passato, quando comporre musica per il cinema era considerata dai musicisti classici una cosa di cui vergognarsi. Quando gli faccio ascoltare degli esempi tratti da Metropolis, che era già un film con una colonna sonora avanzata, chiedendogli di dirmi secondo loro a quale periodo storico appartengono, spesso mi rispondono che sono contemporanei. Questo significa che certi stereotipi funzionano ancora oggi. Nel corso della storia, lo stereotipo si è basato sulla nostra sensibilità naturale di rispondere emotivamente a certi intervalli e si è sviluppato armonicamente sia a livello tonale che atonale fino ad avere un suo ruolo funzionale, che può essere sfruttato dal compositore in modo più o meno personale. La mia idea di musica per il film muto è spaziare in chiave multimediale, grazie alla formula del cine-concerto, reinterpretando in maniera filologica, ma anche anti-filologica, quello che aveva pensato il regista che oggi non c’è più. Diversamente dalle colonne sonore di film contemporanei, noi abbiamo la possibilità di osare purché si conoscano le regole del gioco.

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