COMPOSIZIONE POPULAR MUSIC. TRIENNIO ALLA CIVICA ABBADO DI MILANO

di Piero Chianura

“Comporre, arrangiare, produrre”. Tre verbi che introducono e racchiudono un’importante novità didattica della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano: il corso triennale di diploma accademico di primo livello in Composizione Popular, che partirà il 7 novembre di quest’anno. Si tratta di un percorso nuovo all’interno del panorama europeo: per l’occasione, MusicEdu ha intervistato Franco Fabbri, coordinatore del corso e autorevole studioso di popular music a livello internazionale.

MusicEdu Qual è la filosofia che sta dietro l’apertura di questo nuovo corso?
Franco Fabbri È un’idea che si sarebbe potuta e dovuta realizzare anni fa, ma per varie ragioni ciò non è avvenuto. Da un lato, le istituzioni pubbliche hanno in mente tutto un altro ordine di studi, dall’altro i privati hanno puntato più sulla formazione di tecnici del suono, sound designer e simili. L’idea della composizione popular come prassi da realizzare in svariati modi era rimasta un po’ nascosta. Quando il nuovo direttore della Civica, Roberto Favaro, che ha deciso di aprire alla popular music, mi ha chiesto un contributo, io gli ho proposto questo corso perché, mentre corsi di strumento sono ormai diffusi anche in ambito accademico, quello che noi avevamo in mente ancora non c’era. Un corso di Composizione Popular Music come il nostro è unico nel panorama nazionale e internazionale perché l’obiettivo non è fornire capacità compositive ai membri dei gruppi come il cantante, ma formare compositori professionisti che fanno canzoni e nient’altro. Il corso è inserito nel dipartimento IRMUS: Istituto di Ricerca Musicale.

MusicEdu Un precedente simile potrebbe essere quello del CET di Mogol nell’ambito della musica leggera italiana?
Franco Fabbri Sicuramente quello è un precedente importante. Ma quello che Mogol offre sono seminari di due settimane, non un corso che copre un anno intero. Facendo un seminario con Mogol e i suoi collaboratori, in 15 giorni si imparano molte cose. Ma poi, quanto e come ci si esercita? E chi corregge o commenta il lavoro fatto? Un anno di lavoro offre contenuti e anche risultati diversi.

MusicEdu Si può dire che tu sia stato uno dei teorici della popular music come la intendiamo oggi. In questo corso si ritrova quella relazione con la musica colta e di confine di cui ti sei occupato in passato?
Franco Fabbri Il rapporto tra la popular music e la musica colta, ma anche con altri generi non popular lo ritroviamo nell’approccio storico di questo corso. Anche nell’ambito degli studi internazionali, sono pochi quelli che si occupano di storia della popular music. Molti, specialmente negli Stati Uniti, sono convinti che la popular music coincida grossomodo con il rock ‘n roll; la fanno iniziare nel secondo dopoguerra. Tutto quello che c’è prima, e all’interno del quale ci sono cose colossali per la loro importanza, appartiene a un limbo affrontato dagli specialisti della commedia musicale o dagli studiosi di jazz. Ma quando mi è stato chiesto di scrivere un grande capitolo per l’Enciclopedia della Musica sulla storia della popular music, mi sono chiesto: “va bene, ma da dove comincio?”. E mi sono reso conto che se non avessi iniziato dalla fine del ‘700, non avrei parlato di nulla. Ecco che, in questo senso, il rapporto con i miei studi sulla musica colta c’è perché nella musica colta la storia ha un ruolo fondamentale, sia come conservazione nella continuità, sia dal punto di vista invece della trasgressione e dell’innovazione, secondo cui quello che fai di nuovo si contrappone a quello che c’era prima. Dopodiché tengo a precisare che io all’interno di questo corso tengo lezioni di storia della popular music, non di composizione.

MusicEdu Come ci si iscrive al corso?
Franco Fabbri Si fa una domanda di ammissione e poi c’è una prova di ingresso che consiste principalmente nel presentare due proprie composizioni. Assomiglia a grandi linee ai vecchi esami della SIAE, anche se non li facciamo in presenza e in clausura, ma si inviano i propri brani alla commissione. E poi c’è un colloquio. 

MusicEdu Com’è strutturato il triennio?
Franco Fabbri Anzitutto si parla molto di storia della musica. Oltre al mio sulla popular music (che prevede 90 ore di lezione sui tre anni) ci sono anche corsi di storia del jazz, tenuti da Maurizio Franco, e corsi di storia della musica colta. Questo è un panorama che non è offerto da altre parti perché nella cosiddetta sezione “pop-rock” del Conservatorio, per esempio, c’è solo storia della popular music. Questo è ciò che indica il programma ministeriale, ma come fa uno studente di pianoforte o sassofono a non avere riferimenti sulla storia delle altre musiche? Nel nostro programma ci sono poi corsi di analisi della popular music dal punto di vista strutturale, armonico, ritmico ecc. Uno dei docenti è Jacopo Conti, che è stato un mio laureato e addottorato dell’Università di Torino. Sono presenti corsi di composizione e/o produzione tenuti da vari collaboratori. Uno che voglio citare è Vittorio Cosma perché è una figura a cavallo tra diversi mondi: è un compositore che ha scritto anche musica da film ed è produttore musicale. Un altro docente che ha avuto un ruolo molto importante nel portare avanti il progetto è Mauro Arcari, che io conosco da tantissimo tempo. È molto interessato alla musica etnica e alla world music, perciò si occuperà sicuramente dell’aspetto della musica della tradizione orale. 

MusicEdu Quando si cercano insegnanti in ambito popular spesso ci si rivolge a figure attive nel campo della produzione musicale, dove hanno mostrato competenza, autorevolezza e molta esperienza ma non è detto che siano pronte all’insegnamento “in classe”. Immagino che all’interno del corso siano previsti appuntamenti slegati dalla classica lezione frontale…
Franco Fabbri Nel programma sono previsti appuntamenti seminariali che affrontano argomenti specifici in un tempo più limitato rispetto all’anno di corso. Il problema al quale accenni è generale: se i docenti si formano nelle istituzioni accademiche, ma nei conservatori e nelle università non ci sono mai stati né lo studio della popular music né della composizione popular, chi andiamo a prendere? Non a caso ho chiamato dall’Università un docente che ha studiato con me…

MusicEdu Anche perché tu sei uno dei primi studiosi Italiani in questo ambito, quello che ha anche pubblicato i primi testi… Quali altre materie sono previste nel programma?
Franco Fabbri Naturalmente ci sarà musica d’insieme, la cui funzione però non sarà quella di far suonare insieme gli studenti che studiano singoli strumenti, come avviene nei corsi di musica jazz e pop, ma quello di permettere a chi compone musica di ascoltare quello che ha realizzato. Certo, oggi ci sono i vari Pro Tools, Cubase e Logic che ci permettono di comporre e di riascoltare subito, ma questo non è il solo modo di comporre musica. Un giorno un mio studente dello IED mi ha chiesto: “ma i compositori di una volta come facevano ad ascoltare quello che avevano scritto?”. Bene, intanto componevano con uno strumento e poi immaginavano la musica leggendola sulla partitura. Ed è una cosa che si può imparare a fare con il tempo.

Franco Fabbri (Foto: Duilio Piaggesi)

MusicEdu E comunque il pianoforte rappresentava proprio la riduzione dell’orchestra sulle ottave della tastiera. Poi bisogna considerare che un computer può eseguire la parte di uno strumento, ma non potrà mai dirti se la scrittura è corretta rispetto alla tecnica dell’esecutore sul suo strumento reale.
Franco Fabbri Di questo argomento mi sono ritrovato a parlare con un mio amico etno musicologo che vive in Svizzera, Marcello Sorce Keller. Parlando della bravura degli arrangiatori di una volta ricordo che a proposito di uno in particolare diceva che era bravo, ma che non aveva molta sensibilità sull’equilibrio tra gli strumenti. In studio erano costretti a tirare su o giù il volume di un determinato strumento perché la scrittura delle parti risultava poi sbilanciata nei rapporti di volume”. Anche questa è una capacità che un arrangiatore che scrive dovrebbe avere. E poiché questo richiede tanta esperienza, è per questo che non mi fido dei seminari di poche settimane. Ci vuole un lungo lavoro, con prove e anche errori. È in questo che fare musica d’insieme assume un significato. Componendo sul computer, basta alzare il volume di uno strumento, ma se l’orchestra sta suonando dal vivo ci vorrà un direttore che dica agli altri di suonare più piano. Questo deve essere controbilanciato anche da un altro aspetto e cioè che è legittimo comporre anche a orecchio. Non è che un corso di composizione popular accademico debba necessariamente mettere lo studente davanti a un foglio pentagrammato vuoto.

MusicEdu E come accoglierete il musicista che non ha nessuna conoscenza della partitura?
Franco Fabbri Quello a cui mi piacerebbe arrivare a creare una compensazione, un equilibrio, un’interazione fra gli aspetti della composizione orale, quella che la SIAE indicava anni fa come “melodista trascrittore” e il lavoro scritto in forme grafiche che possono essere non necessariamente solo la scrittura tradizionale su pentagramma. La nostra immagine promozionale di una giovane donna che sta guardando una partitura appoggiata su un mixer, probabilmente a seguire una registrazione orchestrale, rappresenta questo tipo di interazione tra più modi di “scrivere” una composizione.

MusicEdu Dopo il triennio, che tipo di percorso ti immagini potranno avere gli studenti?
Franco Fabbri Il mio sogno è costruire un biennio magistrale di specializzazione, incentrato sulla composizione. In ogni caso la prospettiva professionale è quella di diventare un autore con molti sbocchi, tenendo conto del fatto che oggi molti diventano autori professionisti dopo averci provato come cantautori o produttori senza esserci riusciti. Vogliamo invece partire con quell’idea, che dal punto di vista degli sbocchi lavorativi non offre possibilità certe di assunzione a stipendio fisso, ma che economicamente può diventare molto lucrativa se hai un’attività continuativa e seria, non soltanto se azzecchi la canzone che ti fa guadagnare milioni. Spesso i ragazzi non sanno quanto si guadagna con i diritti d’autore. In un’intervista che mi hanno fatto questa estate, mi è stato chiesto di fare qualche nome di musicisti famosi che potrebbero essere i modelli di riferimento per un corso come il nostro. Il giornalista insisteva e voleva a tutti i costi dei nomi. Credo di avergli fatto un paio di nomi noti ma in realtà mi rendevo conto che non ero in grado di spiegare a quel giornalista che se dovessi pensare a due nomi che sarebbero stati un esempio di compositori usciti da questa scuola avrei detto Richard Rodgers o Carlo Alberto Rossi. Non solo figure di rapper, producer e topliner ma di quello che in questo momento non c’è e di cui secondo me l’industria sente la mancanza: qualcuno che crei una canzone da fare interpretare a un artista. 

Info: IRMus – Istituto di Ricerca Musicale della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado
Tel. 02.971524

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *